Cooperante veneziano arrestato in Venezuela, i familiari: «Il governo agisca»

Dal 15 novembre non si conosce la sorte di Alberto Trentini, di origini veneziane, nel Paese sudamericano per una missione con le Ong Humanity e Inclusion

Eugenio Pendolini
Alberto Trentini
Alberto Trentini

Dopo il caso di Cecilia Sala, reclusa per ventuno giorni in isolamento nel carcere di Evin a Teheran, l’Italia trattiene nuovamente il fiato per un suo connazionale di cui, dal 15 novembre, non si hanno più notizie.

Si tratta di Alberto Trentini, cooperante 45enne originario del Lido di Venezia, arrestato in Venezuela dove si trovava in missione con la Ong Humanity e Inclusion per portare aiuti umanitari alle persone con disabilità.

Dopo settimane di silenzio, durante le quali la diplomazia ha lavorato sotto traccia per cercare di risolvere la situazione, martedì 14 gennaio la famiglia ha deciso di rendere pubblica l’accaduto per cercare di arrivare il prima possibile a una soluzione.

Questa la nota diramata dall’avvocato della famiglia Trentini, Alessandra Ballerini (legale della famiglia Regeni, di Mario Paciolla, Andy Rocchelli e di altri italiani vittime all’estero): «Chiediamo al governo di porre in essere tutti gli sforzi diplomatici possibili e necessari, aprendo un dialogo costruttivo con le istituzioni Venezuelane, per riportare a casa Alberto e garantirne l’incolumità. È inaccettabile che cittadini italiani che si trovano a lavorare o visitare altri Paesi con l’unica finalità di contribuire a migliorare le condizioni di vita dei loro abitanti, si trovino privati delle libertà e dei diritti fondamentali senza poter ricevere nessuna tutela effettiva dal nostro Paese».

Un appello, in questo senso, arriva anche dal coordinatore nazionale di Articolo 21, Giuseppe Giulietti, che chiede al governo di non utilizzare «un doppio standard e di fare come fatto con Cecilia Sala e a occuparsi di riportare in Italia Alberto Trentini».

Il cooperante veneziano è stato fermato ad un posto di blocco il 15 novembre mentre si trovava in missione da Caracas a Guasdalito.

Dalle scarse informazioni ricevute dalla famiglia, sembrerebbe che pochi giorni dopo il fermo Alberto sia stato trasferito a Caracas e, ad oggi, ci risulta “prigioniero” in una struttura di detenzione, senza che gli sia mai stata contestata formalmente nessuna imputazione. Circostanza, questa, che ricorda il recente sequestro della giornalista Cecilia Sala, contro la quale il regime iraniano non ha formalizzato alcuna accusa circostanziata.

E come per la giornalista, anche per Trentini una delle ipotesi è che l’accusa nei suoi confronti da parte del regime di Maduro sia quella di attentato alla sicurezza del paese.

Un’accusa generica che, in realtà, potrebbe nascondere una rappresaglia da parte del presidente venezuelano nei confronti dell’Italia, paese che come altri in Europa non ha riconosciuto il recente successo elettorale di Maduro e ne ha condannato fortemente la repressione contro le minoranze. L’arresto del cooperante, quindi, potrebbe servire da moneta di scambio per un riconoscimento politico internazionale.

Nel frattempo, i deputati del Pd Giuseppe Provenzano e Gianni Cuperlo hanno depositato un’interrogazione parlamentare urgente al ministro degli Esteri, Antonio Tajani, con cui si chiedono iniziative per garantire a Trentini «tutti i diritti processuali e di detenzione e il suo immediato rientro in Italia».

La comunità veneziana di amici e familiari di Trentini, sconvolti per la gravità della situazione, si è ora chiusa nel silenzio nella speranza di poter riabbracciare quanto prima il cooperante veneziano.

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