La casa della farfalle, dove le ragazze sconfiggono i disturbi alimentari e tornano a volare

La struttura, centro di riferimento regionale per il Veneto e non solo, accoglie ragazze e ragazzi che stanno compiendo il percorso di riabilitazione per la guarigione da un disturbo del comportamento alimentare, spesso dopo un ricovero in ospedale

Maria Ducoli
Alcune delle ragazze ospitate alla Casa delle Farfalle di Portogruaro, centro per la cura dei Dca
Alcune delle ragazze ospitate alla Casa delle Farfalle di Portogruaro, centro per la cura dei Dca

Il piede batte ritmicamente a terra, silenzioso nel suo calzino a fiorellini rosa, da bambina o poco più.

Un soffio costante, impercettibile, che non segue alcuna musica se non quella dei pensieri intrusivi, arrivati come un’onda dopo lo spuntino di metà mattina, che le ragazze ospiti della Casa delle Farfalle, nel cuore di Portogruaro, in provincia di Venezia, centro di riferimento regionale per i disturbi dell’alimentazione dell’Usl 4, hanno consumato nella loro coloratissima sala comune. A cosa serve uno spuntino? L’anoressia porta a eliminare qualsiasi cosa superflua, una alla volta, senza rendersene conto. Soprattutto se hai 11, 12 o 13 anni.

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Così, uno spuntino diventa una montagna, che inevitabilmente manda in crisi qualcuna. Anna, la chiameremo così, si nasconde sotto una coperta pesantissima. Resta immobile per un tempo interminabilmente lungo, ma anche quando si muove, i suoi occhi sono fissi.

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Scuri come il petrolio, nascondono un mondo tutto suo. Anna non ha ancora fatto gli esami di terza media, ma ha già rischiato di morire, e nemmeno una volta sola. Come lei, tante altre ragazze arrivano non solo dalla provincia di Venezia ma anche dalle altre Usl e dal Friuli, spesso dopo diversi ricoveri in ospedale, con la necessità di un intervento intensivo, e stanno a Portogruaro diversi mesi, a seconda delle situazioni e dell’andamento terapeutico. Ogni anno, sono 170 i nuovi pazienti, circa 400 in cura ambulatoriale, 70 nei due centri residenziali, per ragazzi e adulti.

Nella struttura reimparano tutto quello che avevano disimparato: a mangiare, a sorridere, a indossare un costume da bagno, tramite l’approccio della Riabilitazione Psiconutrizionale Progressiva (Rpp), messo a punto dal direttore stesso, lo psichiatra Pierandrea Salvo.

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«Ci muoviamo sulla base di quella che è la situazione clinica» spiega, «innanzitutto è fondamentale lavorare sul recupero organico, poi si fanno attività che, a poco a poco, portano le ragazze fuori dalla struttura». Un accompagnamento, insomma, verso la vita di tutti i giorni. Tutto step by step, finché anche le cose difficili non smettono di esserlo.

Tra queste, i pasti. Il pranzo è uno spezzettare, sminuzzare, rendere il cibo più piccolo nel tentativo di rimpicciolire anche la paura.

La forchetta si alza e si abbassa con gesti lenti, faticosi, è pietra e mangiare una scalata infinita a mani nude su una montagna, con uno zaino sulle spalle pieno del peso dei pensieri che non lasciano stare.

Una volta finito, c’è chi corre a lezione, online, infatti il centro dal 2006 ha avviato il progetto “Scuola a distanza”, «perché la scuola è un ponte ed è fondamentale che le ragazze mantengano i contatti con il loro mondo, in cui torneranno una volta dimesse» spiega la dottoressa Erika Baldissera, coordinatrice della Casa delle Farfalle. Marta (nome di fantasia), però, non ha lezione e, sul divano, si abbraccia le gambe.

A giugno farà la maturità ma non sa ancora cosa farà dopo, non sa cosa voglia diventare da grande, forse perché immaginarsi, pensare a quello che c’è oltre il proprio piatto, quando si ha un disturbo alimentare è un’altra delle tante cose difficili.

Non c’è tempo per fare proiezioni, progetti, quando non si hanno energie in corpo, quando si è stretti in una morsa di calorie, numeri, passi da fare, rituali ossessivi, schemi rigidi. Quel mondo, che dà così tanta sicurezza, diventa il tutto e ti ingurgita, facendoti perdere di vista il resto.

Per questo, per guarire, è fondamentale l’intervento di un’équipe multidisciplinare, in cui accanto ai dietisti ci sono psicoterapeuti, psichiatri e neuropsichiatri, ma anche educatori e

infermieri, figure che sono il cuore pulsante della clinica che, tra l’altro, di recente si è ampliata e ha aumentato i posti letto, passati da 9 a 12, per far fronte alle richieste crescenti. Nelle stanze, le lenzuola colorate, tra Puffi, cuoricini e peluches ricordano le camerette di casa.

«La parola chiave è de-istituzionalizzazione» aggiunge Baldissera, «l’idea è quella che questo posto somigli il più possibile ad una casa e non a un ospedale». A casa, le ragazze tornano a poco a poco, con permessi prima solo di qualche ora, poi anche di un weekend intero, una volta arrivate alle fasi avanzate del percorso.

A diverse è stata comunicata proprio la possibilità di usufruire di un permesso, notizia accolta con un grido di gioia perché per loro non significa solo “libertà”, ma anche essere un passo più fuori dalla malattia.

Per Giulia (nome di fantasia), però, non è ancora arrivato il momento di uscire anche solo per poco, e questo la fa vacillare. Le amiche le abbracciano, alla Casa delle Farfalle il sostegno è reciproco e gioie e dolori sono condivisi. Ma lei si allontana, e con la testa china sul suo quadro di diamond painting, lascia andare una lacrima per ogni diamantino incollato.

Giulia viene da diversi ricoveri, ha soli 14 anni e fame di vita, è stanca di avere pazienza, vorrebbe guarire come si guarisce dal raffreddore per tornare «fuori», a casa, a scuola, ad allenamento. Ma, nonostante sia tra le più piccole, ha capito che non funziona così, «mamma dice che è un viaggio, vediamo» dice, non molto convinta.

Perché, quando ci si è dentro, quando si è nella tana del coniglio, lontana da tutto e con un specchio che inganna, incastrata nella griglia di una routine serrata, piena di calcoli, ci si senti al sicuro. Ma oltre al disturbo alimentare, c’è un mondo tutto da scoprire. E le farfalle tornano sempre a volare.

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