Cooperante veneziano detenuto in Venezuela: «Basta un post sui social e scatta l’arresto»

Per Andrea Di Giuseppe, deputato di Fratelli d’Italia, il governo di Maduro perseguita gli oppositori del governo. Farnesina ancora al lavoro per liberare Alberto Trentini

Eugenio Pendolini
Alberto Trentini, il cooperante veneziano detenuto in Venezuela
Alberto Trentini, il cooperante veneziano detenuto in Venezuela

Basta un post di critica al presidente Maduro o un commento non allineato al governo del Venezuela per finire nella rete dei perseguitati, nel mirino dei servizi segreti. O in carcere, a chi va peggio. Come successo ad Alberto Trentini, il cooperante veneziano arrestato il 15 novembre e di cui, da due mesi, si sono perse le tracce. Ma come è successo anche ad altri connazionali, almeno otto, finiti nelle prigioni del paese sudamericano.

Chi, in questi mesi, ha seguito da vicino la vicenda degli italiani detenuti all’estero è il deputato di Fratelli d’Italia Andrea Di Giuseppe. Residente a Miami ed eletto nella circoscrizione estero, Di Giuseppe nei mesi scorsi ha seguito in prima persona il caso di Chico Forti, condannato all’ergastolo negli Stati Uniti nel’98 e un anno fa rientrato in Italia per scontare il resto della sua pena nel carcere di Montorio, a Verona.

«In giro per il mondo, oggi, ci sono circa 2.100 prigionieri italiani nelle carceri straniere, la metà dei quali in attesa di giudizio. Per molti di loro, le accuse sono assolutamente generiche», spiega Di Giuseppe.

E una delle situazioni più difficili, soprattutto alla luce dei rapporti ormai logori tra Caracas e Roma a causa del mancato riconoscimento del voto dello scorso luglio, è proprio quella del Venezuela.

Di Giuseppe spiega di seguire da vicino anche l’evolversi della situazione legata a Trentini, ma in queste ore delicate non può entrare nel merito della vicenda: tutto è in mano alla Farnesina e al corpo diplomatico. Il suo ragionamento, però, punta ad accendere un faro sul contesto nel quale è scaturito l’arresto del 45enne originario del Lido di Venezia. E a capire quali possano essere state le motivazioni addotte dalle autorità locali.

«La situazione in Venezuela è davvero complessa», conferma Di Giuseppe, «lì ci sono 150 mila italiani e un milione di italovenezuelani. Chi si oppone al regime di Maduro viene perseguitato. Il modello di riferimento è la Russia, vige un sistema di intelligence molto efficace. Vengono tracciati gli oppositori di Maduro e portati via. In particolare, vengono sorvegliati i canali social o i messaggi di WhatsApp tramite sistemi di tracciamento. Mai come in questo momento è necessario mettere pressioni ai governi stranieri che trattano in questo modo chi la pensa diversamente al punto da finire in carcere, nella speranza di arrivare quanto prima a risolvere la situazione».

Di clima di ostilità da parte delle autorità venezuelane parlava lo stesso Trentini, alla compagna, qualche settimana prima dell’arresto. Dal 15 novembre, quando è stato prelevato Guasdualito, al confine con la Colombia, di lui non si hanno più notizie.

Nel frattempo, sul fronte diplomatico non si registrano novità per la liberazione di Trentini. Il governo, come confermato in una nota di Palazzo Chigi, è al lavoro per una soluzione. Venerdì, nel corso di un consiglio dei ministri, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha chiamato la famiglia del 45enne veneziano, confermando l’impegno giorno e notte della diplomazia italiana.

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