Corsa all’acquisto dei seicento presepi di don De Pieri
Quando ha pensato di lasciare scritto nel suo testamento di vendere i suoi presepi, sicuramente don Franco De Pieri, scomparso il 23 dicembre del 2015, sapeva che sarebbero andati letteralmente a ruba e qualcuno è convinto che ovunque si trovi ora, stia sorridendo compiaciuto. Perché è riuscito nel suo intento.
Erano 600 le Natività in vendita nelle due parrocchie mestrine in cui il sacerdote ha svolto il suo ministero e dove ogni cosa parla ancora di lui, San Paolo in via Stuparich e Corpus Domini in Rione Pertini: sabato ne sono andati via quasi la totalità, ieri pomeriggio se ne contavano poche decine e verso sera non ce n'era praticamente più nessuno.
Venduti tutti, nell’arco di un fine settimana, gli ultimissimi saranno a disposizione oggi nello spazio di via Stuparich a fianco alla chiesa. Con un clic, da casa, la gente è andata sul sito di monsignor Vecchi, ha scorso le immagini, ha pensato quali voleva, poi si è recata sul posto. I prezzi variavano: molti costavano 10 euro, alcuni 25, i più belli 50 euro, ma l’offerta per la San Vincenzo delle due parrocchie era libera e in tanti hanno dimostrato la loro generosità. Per i poveri, per mantenere vivo il ricordo di don Franco e per avere con sé, sopra un mobile, in un punto preciso della propria abitazione, un pizzico di quello sguardo sul mondo che ha sempre contraddistinto il sacerdote mestrino facendo spazio a un tassello della sua passione.
I presepi di don Franco sono una porta sull’universo, i volti dei personaggi rispecchiano i Paesi dove vivono: Maria e Giuseppe hanno la pelle scurita dal sole, i tratti somatici peruviani piuttosto che cileni, al posto del bue e dell’asinello statuette di simpatici lama, presepi vivaci come le anime delle persone che vivono nel Sudamerica, che dei colori non possono fare a meno. E ancora natività in legno, cera, creta, marmo, materiali preziosi e poveri, grandi, piccoli, incorniciati tra palmeti, grotte, montagne e persino cactus al posto di capanne. La grotta diventa di volta in volta una caverna, una duna, una piroga. Volti allargati e fini, gote pronunciate e visi esquimesi, statuine con gonne e sombreri.
Don Franco lo sapeva: un presepe è più delle statuette che raffigura, nel come i popoli diversi rappresentano la nascita del Signore c’è tutto un mondo, una teologia prodotto del vissuto dell’uomo e delle persone. I presepi profumano ancora dei luoghi da cui provengono, sono diversi come le mani giunte in preghiera e allo stesso tempo incarnano l’umanità dello stesso miracolo.
Tra i tanti un presepe chioggiotto con barca e bricole, imbarcazioni di bambù, quelle che si usano ancora nel delta del Mekong e nel lago Titicaca tra Perù e Bolivia. Tra di essi vere e proprie opere d’arte collezionate in una vita di viaggi.
Sicuramente l’obiettivo del sacerdote, oltre a quello di raccogliere fondi per la San Vincenzo, era far riflettere fedeli e meno sul significato della grotta e del bambino nato in una stalla e questo Natale, anche senza essere presente fisicamente, ci è riuscito in pieno.
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