«Zona franca come a Trieste» Venezia rilancia e rischia tutto

L’allargamento non basta, Comune e Autorità portuale chiedono la “free zone” in tutta l’area Slitta la riconvocazione del tavolo tecnico. Il sottosegretario: «Aspettiamo ancora le loro proposte»
Torna in “alto mare” la possibilità di allargare la piccola zona franca doganale (free zone) esistente dal 2013 nell’area portuale di Venezia. La mancata indicazione ai ministeri competenti delle aree di Porto Marghera per ampliare la zona franca – che dovrebbero individuare la Camera di Commercio, insieme al sindaco Brugnaro e al presidente dell’Autorità Portuale, Pino Musolino – rischia di compromettere tutto. Un rilancio al rialzo del Porto di Venezia, infatti, è inaccettabile per il governo, ben consapevole del fatto che se concedesse anche a Venezia la possibilità di fare di tutta la sua area portuale una zona franca – con imposte agevolate – come ha fatto per Trieste, finirebbe per ritrovarsi sul tavolo una procedura di infrazione europea e una richiesta analoga da parte di tutti gli altri scali portuali italiani.


Il tempo passa e, infatti, non è ancora stato riconvocato il Tavolo interministeriale per l’allargamento della “Zona franca portuale internazionale di Venezia”, unica area italiana ad aver avuto questo riconoscimento dall’Unione europea, insieme a Trieste che – in virtù di vecchi accordi sottoscritti alla fine della seconda guerra mondiale – ha ottenuto nello scorso luglio un decreto del ministro Calenda che ha concesso al presidente della Autorità Portuale del Mare Adriatico Orientale la piena disponibilità della gestione delle aree extra-doganali in tutta l’area portuale di Trieste, con la possibilità di spostarle nei punti ritenuti strategici.


L’impegno per Venezia, preso al tavolo interministeriale del 27 luglio con la Camera di Commercio, il Comune e la Città metropolitana di Venezia, era quello di mettere a punto a livello locale la proposta di allargamento della zona franca dogale di Venezia – per ora limitata a 8 ettari in via del Commercio, ma con scarsi risultati di utilizzo – con l’indicazione precisa delle aree demaniali di Porto Marghera su cui realizzarla. Aree già indicate informalmente e da tempo dalla stessa Autorità Portuale nell’area Montesyndial e nella zona del terminal per traghetti di Fusina, anche se resta da verificare la loro piena disponibilità al demanio. «Stiamo sollecitando Venezia a indicare formalmente le aree di allargamento della zona franca per poi riconvocare, come previsto, il tavolo interministeriale», dice il sottosegretario al ministero dell’Economia, Pier Paolo Barretta, ricordando che il governo è pronto ad accogliere le indicazioni «nei termini indicati nel precedente tavolo, a cui si può aggiungere l’istituzione di una zona economica speciale (Zes), per quale però non esiste ancora una legge nazionale che ne permetta la costituzione e il riconoscimento. Baretta non aggiunge altro, ma è chiaro che se Venezia non si accontenterà di allargare le zone franche a “macchie di leopardo” nelle sue aree portuali, rilanciando la proposta di avere lo stesso trattamento di Trieste, rischia di chiedere tutto per non ottenere niente. Nessun commento del segretario della Camera di Commercio, Roberto Crosta, al quale è stato affidamento il coordinamento delle riunioni per l’allargamento della zona franca. Resta il fatto che sia il sindaco Brugnaro che il presidente Musolino all’indomani della concessione a Trieste della zona franca per tutta la sua area portuale, avevano chiesto lo stesso trattamento per Venezia.


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