Vongole dalla provetta ai nostri piatti: «Nell’arco di 3 o 4 anni saremo pronti»
Andrea Berro (San Servolo Servizi): «Sarà un seme naturale rinforzato in laboratorio per avere quantità più soddisfacenti»
SAN SERVOLO. Dalla provetta al piatto, è questo il futuro della vongola verace. E non si preoccupino i puristi: il gusto non cambierà affatto. Qui non si parla di esperimenti di cucina molecolare, ma proprio di inseminazione artificiale. Per aumentare la produzione, certo, ma anche per salvare un comparto in forte contrazione. E Venezia si candida a diventare, da qui a tre-quattro anni, la capofila in tutt’Italia.
«Logicamente non vogliamo andare contro natura, è chiaro che si tratta solo di un incentivo a processi naturali ormai consolidati. Ma le tecnologie di oggi permettono di creare un seme in ambiente protetto, lontano dalle morie stagionali legate agli assalti di pesci e granchi. Insomma, oggi si può creare un ambiente protetto per far sì che la nostra filiera lagunare, un’eccellenza riconosciuta in tutt’Italia, possa andare avanti».
È la linea dettata da Andrea Berro, amministratore unico della San Servolo Servizi Metropolitani, per l’allevamento e la pesca delle vongole veraci in laguna. Un futuro avveniristico ma neanche troppo lontano, in cui i “caparossoli” che siamo abituati a mangiare arriveranno direttamente da una provetta in laboratorio. Oggi la società di proprietà della Città Metropolitana, oltre ad occuparsi del rilancio di beni di interesse storico e paesaggistico (l’isola di San Servolo e il museo di Torcello, su tutti), ha in gestione anche l’organo di gestione delle risorsi alieutiche lagunari (Gral).
Gestisce una decina di ettari di laguna le cui condizioni, particolarmente idonee, favoriscono la produzione del seme delle vongole veraci. Posizionate alla bocca di porto di Malamocco, si tratta di zone certificate per la molluschicoltura.
Qui, vengono organizzate campagne di raccolta secondo date e criteri precisi. Sono circa 500 gli operatori del comparto, suddivisi in ottanta cooperative da Burano fino a Pellestrina e Chioggia. Secondo gli addetti ai lavori, la produzione annua si è quasi dimezzata rispetto a una decina d’anni fa.
I DATI
I dati del 2017 fotografano una produzione annua di 1.500 tonnellate di vongole (nel 2009 erano 5 mila, nel 2011 invece 2.800 tonnellate) per un valore economico (al netto del sommerso) vicino ai dieci milioni di euro.
Molti sono i fattori determinanti, tra cui anche la variazione delle correnti in laguna dovuta al Mose e al passaggio delle grandi navi. Sotto la gestione della San Servolo, poi, rientrano 1.300 ettari dati in sub-concessione agli operatori. Qui, infatti, viene portato il seme, allevato, e poi venduto una volta raggiunta la taglia più adatta al commercio. Salvo, com’è ovvio, i rischi legati a fattori ambientali che possono mettere a repentaglio un’intera stagione.
«Non si può mai sapere quanto la natura possa offrire» spiega ancora Berro «un anno può andare bene con grandissima quantità di seme, l’anno dopo magari per una moria potrebbe esserci molto meno prodotto. È chiaro che si tratta di un rischio da correre, è normale che sia così altalenante».
La sfida
È per questo che, ora, dal cassetto rispuntano vecchi progetti, irrealizzabili in passato a causa di tecnologie troppo costose. «Lo chiamo seme artificiale» precisa l’amministratore unico di San Servolo Servizi «ma in realtà si tratta pur sempre di seme naturale, semplicemente rinforzato dalla tecnologia di laboratorio».
In Italia, al momento, esistono solo tecniche che lavorano nella seconda fase, quella di pre-ingrasso della vongola. Un rinforzo, per così dire, tale da far crescere la vongola al riparo dai pericoli dell’ambiente. Sintomo, ad ogni modo, di una trasformazione del comparto, che da pesca vira sempre più verso l’allevamento.
«Stiamo adesso dialogando con gli esperti per il know-how, servono biologi, impianti adeguati. Poi, una volta creato il seme» continua Berro «lo si porta in vasche protette per far raggiungere determinate taglie e venderle al mercato».
Il seme artificiale, al momento, è prodotto solo in Francia e negli Stati Uniti. Importarlo, però, è un problema per via dello shock che subirebbe nel trasporto. Ecco allora l’obiettivo di produrlo direttamente in casa. E il percorso sembra già tracciato: «A breve» conclude Berro «ci incontreremo con Città Metropolitana e Regione Veneto. Sono comunque ottimista per le tempistiche, nel giro di tre-quattro anni daremo il via all’inseminazione artificiale». —
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