Vongolari s’incatenano a Venezia
CHIOGGIA. «Qualche anno fa avevamo una vita: si lavorava duro, ma i nostri figli andavano a scuola e si potevano fare progetti per il futuro. Oggi non abbiamo più nulla, solo debiti. Siamo rovinati. Era tutto scritto, ma noi non lo sapevamo». Vanni Penzo è uno dei caparozzolanti che, ieri mattina, si sono incatenati al leone di San Marco a Venezia per denunciare lo stato di bisogno in cui si trovano le loro famiglie. Al punto che è capitato a più d'uno di loro di dover vendere la casa per far fronte ai debiti con le banche. A toglier loro lavoro e speranza sono state, spiega, le “grandi opere” eseguite in laguna, progettate fin dal 2000 che, sistematicamente, hanno costretto il suo consorzio, l'Agrimol, a sobbarcarsi spese enormi, senza contropartite. «Nel 2007 ci hanno dato le concessioni a Sacca Sessola», ricorda, «abbiamo seminato 2.700 ceste di novellame e dopo tre mesi ci hanno detto che dovevamo andare via, perché lì doveva passare il tubo del PiF (Progetto integrato Fusina). Per trasferirci alle dighette abbiamo lavorato un mese in dieci persone, per ripescare il novellame, spendendo 15 mila di euro di benzina, ma abbiamo perso lo stesso 1.100 ceste di prodotto. Per la concessione alle dighette siamo stati attaccati e criticati da tutti. Ci hanno perfino bruciato il capanno, perché pareva che quell'area fosse un privilegio a noi destinato. Il 2008 e il 2009 sono stati discreti, ma già nel 2010 la produzione è calata e nel 2011 è arrivata l'anossia: abbiamo dovuto spendere 150 mila euro per ricomprare il novellame a Comacchio». «Abbiamo seminato da settembre a dicembre e ad agosto 2012», continua Penzo, «pensavamo di raccogliere, ma ci è piombata addosso la morìa del 100% e da allora non abbiamo più lavorato. A conti fatti ci abbiamo rimesso un milione di cui centomila solo per pagare le concessioni al Gral di aree da cui non abbiamo ricavato nulla. Solo debiti. Ora a giugno scade la moratoria con le banche che il Comune di Chioggia era riuscito a farci avere, il Gral minaccia di incamerare la fidejussione e nessuno ci ha dato una area alternativa in cui lavorare. Sarebbe bastato: di fronte alle dighette c'era semina in abbondanza, ma non ce l'hanno lasciata raccogliere. Rischiamo di morire di fame siamo noi. Anche i due milioni di euro che ha stanziato la Regione, giorni fa, pare che andranno tutti in Polesine. Ora andremo da Zaia e, se fosse necessario, anche da Napolitano».
Diego Degan
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