Volantini al veleno, impresario condannato
È arrivata ieri la quarta condanna per diffamazione a mezzo stampa a carico di Sandro Gardi, titolare delle onoranze funebri “Amadori” di Mestre. Otto mesi senza sospensione condizionale e 5.000 euro di risarcimento a ciascuna delle parti civili, ovvero l’impresa di onoranze funebri “Sartori Aristide”, sempre di Mestre, e il suo titolare Nicola Bianco: lo ha deciso il giudice monocratico del tribunale di Venezia, Enrico Ciampaglia, nell’udienza che si è tenuta ieri.
I fatti contestati risalgono al periodo tra l’ottobre 2012 e il gennaio 2013. Gardi era accusato di aver tappezzato i muri e le vetrine di diversi negozi del centro di Mestre di volantini con contenuti diffamatori nei confronti di Bianco e della sua attività di onoranze funebri. Fingendo di riportare nel volantino quanto riferito da una cliente che si era rivolta alla “Sartori Aristide”, si puntava il dito contro la presunta scorrettezza delle prassi commerciali seguite dalle pompe funebri di Bianco e l’eccessivo prezzo pagato per il servizio funebre tanto che «ho dovuto chiedere un prestito in banca che sto ancora pagando».
Non solo: nel volantino affisso in mezza Mestre erano state elencate le proprietà immobiliari del titolare de “Sartori Aristide” con i dati catastali ottenuti attraverso la visura catastale effettuata all’ufficio provinciale di Venezia dell’Agenzia del Territorio.
Il giudice Ciampaglia ha ritenuto responsabile della diffamazione Sandro Gardi, che non è nuovo a questo tipo di reati. La condanna va a sommarsi a quelle già comminate allo stesso titolare della “Amadori” dal tribunale di Venezia sempre per diffamazione: 18 mesi a luglio 2016, sei mesi a marzo 2015 e tre mesi ormai cinque anni fa.
Nell’ultimo processo prima di quello che si è concluso ieri, Gardi era accusato di aver distribuito numerosi volantini, lasciati anche sui parabrezza di centinaia di auto in sosta, intitolati «Vergogna e ancora vergogna per certi impresari funebri», oppure «Cittadini di Mestre è ora di svegliarsi». Gardi, nei suoi fogli-denuncia, sosteneva che a Mestre esistono «Gli impresari funebri più ricchi d’Italia» e sarebbero diventati così «chiedendo cifre da capogiro alle povere persone immerse nel dolore per la perdita di un loro caro». «Dovere vergognarvi a chiedere 5, 6 o settemila euro per un funerale», sosteneva in un altro comunicato, «cittadini diffidate di tutto il personale sanitario che vi indirizzano in una qualsiasi impresa funebre perché questi signori intascano anche 500 euro per funerale». L’imputato peraltro non si limitava ad accuse generiche, ma in alcuni volantini faceva nomi e cognomi dei concorrenti contro cui si scagliava con particolare veemenza.
Rubina Bon
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