«Vogliamo sapere cosa è successo a Marco»
MESTRE. «Vogliamo sapere cos’è successo davvero, toglierci i dubbi che ci affollano la testa, capire perché quella palestra non è dotata di defibrillatore e se chi lo ha visitato poteva accorgersi che qualcosa non andava». Gabriele Parrino è il capitano del M.U.C, la squadra di calcio a 5 con cui giocava Marco Giordano, che ne amministrava il sito, la pagina Facebook, invasa da messaggi di cordoglio di amici che lo ricordano con affetto, come la pagina dell’Asd Fenice, il suo profilo, quello del fratello. «Marco aveva uno stile di vita encomiabile», racconta, «si faceva in quattro, saltava da una palestra all’altra, da quelle dove faceva supplenze come insegnante, a quelle dove era responsabile del settore giovanile, e poi gli anziani, ai quali faceva ginnastica posturale, era conosciuto da tutti».
«Era leale, appassionato, con lui noi del M.U.C. avevamo giocato in tutte le categorie dall’età di quattordici anni, fino a vincere il titolo provinciale nel 2012». Il capitano non si dà pace: «Siamo arrabbiati, perché la palestra, che viene assegnata dalla Città metropolitana non è dotata di defibrillatore. Certo, non sappiamo se sarebbe servito a salvargli la vita, ma potevamo provare. Perché non c’è? Ci sono persino in piazza Ferretto. Alla Gramsci giocano squadre agonistiche, il Leoncino Basket, ho visto allenarsi la Reyer, speriamo che chi deve indagare su quanto accaduto vada fino in fondo». Non solo: «Noi facciamo l’esame sotto stress, la spirometria. Marco aveva appena eseguito gli esami di idoneità, vogliamo sapere tutto, capire se a qualcuno è sfuggito qualche cosa. Marco è morto sotto i nostri occhi». Per adesso, la squadra si ritirerà dal campionato, ieri gli amici e colleghi si sono ritrovati a Mestre. «Non abbiamo voglia di rimettere il piede in quella palestra, non ci alleneremo mai più dove non c’è un defibrillatore, non è giusto morire così, facendo sport e faremo di tutto perché non venga dimenticato».
La partita di giovedì sera era contro la l’Autoscuola Dalla Mura. Tra gli avversari c’era Fabio, che gli ha praticato la respirazione bocca a bocca, mentre Andrea non smetteva un attimo di praticarli il massaggio cardiaco. Sono andati avanti fino a che non è arrivato il Suem. Fabio non entra nei dettagli, è ancora scosso, si muove in punta dei piedi, per non ferire la sensibilità di nessuno. «Non me ne capacito» racconta, «era un amico oltre che un giocatore, una persona squisita, che si faceva in mille per gli altri. Ci abbiamo provato in tutti i modi, poteva accadere in palestra, come da un’altra parte, ma sui defibrillatori sarebbe giusto saperne di più».
A ricordarlo è Giuliano Scattolin, presidente dell’Asd Real Fenice, anche lui distrutto dal dolore: «Era un giovane modello, pieno di vita, che faceva sport da sempre, perfetto sotto ogni punto di vista. Insieme avevamo molti progetti in tante scuole del territorio e della provincia, lui allenava i ragazzi e gli allievi. Quello che faceva era quello che amava fare, così come aiutare il prossimo, con lui ci si capiva con uno sguardo».(m.a.)
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