«Vivo in questa Venezia che scompare....» le parole di Mario Stefani

“Vivo / in questa Venezia che scompare / fatta acqua e cielo /fra l'indifferenza degli uomini d'altro affaccendati / presi nel guadagno dell’avaro denaro /perduti ormai al grido / di questa città che muore”.
Si può ritrovare la Venezia di oggi nelle parole, ne Il Grido di un poeta del “secolo scorso”, come Mario Stefani, morto suicida il 4 marzo di vent’anni fa? Si, quando suonano attuali come i problemi di una città che allora si andavano delineando - la monocultura turistica su tutti - che negli ultimi anni sono esplosi e che ora, in questa sorta di nemesi pandemica che certo nessuno merita, i giorni della ressa spazzati via dall’inimmaginabile paiono solo “rimpianti”, quando richiederebbero un piano di rinascita. Nelle poesie di Stefani si trova ancora tutto lo stupore per la bellezza della città, della laguna, della qualità della vita e il dolore che Venezia si porta addosso per essere tanto mondiale, quanto minuta.
Esce “Venezia mio sogno”, antologia poetica curata da Flavio Cogo, instancabile nel dare voce alle parole di un intellettuale tanto presente nella vita della sua Venezia di allora e nella memoria di chi l’ha conosciuto - professore di lettere, giornalista laureato, critico letterario e d’arte, poeta, militante radicale, omosessuale dichiarato, ambientalitsa - quanto ormai quasi “rimosso”. Scomodo. Dopo aver raccontato in “Mario Stefani e Venezia” e “Mario Stefani: diario pubblico” l’intellettuale pubblico e privato, per la prima volta Cogo ha raccolto in un’antologia tutte le 169 poesie, anche quelle disperse in miscellanee che Stefani non aveva incluso nella raccolta divenuta un motto compiaciuto che ogni veneziano conosce “Se Venezia non avesse il ponte l'Europa sarebbe un'isola”. E non si pensi a nostalgie serenissime. «Non era venetista, non era venexiano», dice Cogo, «era un poeta civico e civile. Aveva l’entusiasmo di chi si alza la mattina nella città che ama e per la quale soffre perché già la vedeva trasfigurata dalla sete di danaro di troppi concittadini, pronti a svenderla». E le serrande abbassate dal caro-affitti, le case chiuse perché senza turisti e dai costi inavvicinabili per i residenti questo raccontano: Venezia mia città malata, mia città amata fino allo spasimo / amaro questo tuo risveglio sul tuo corpo ferito....
Certamente quella di oggi non è la Venezia degradata degli anni Sessanta, molto è stato fatto per risanarla. Il Mose (forse) sta arrivando a proteggere laddove solo un anno fa il 12 novembre fu il disastro. Ci sono grandi università, istituzioni culturali, ma è ancora gravemente minacciata nel quotidiano perdersi di residenti. Il covid l'ha svuotata dai turisti che la soffocavano, rivelando la sua infinita fragilità economica, ma anche la forza combattiva dei suoi (pochi) abitanti:Venezia senza tempo / aspetta il suo silenzio / i veneziani con altro occhio / le vicende umane guardano / sanno che da ciò che muore / nasce la vita.
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