Violenza in colonia il dolore delle vittime nella prima udienza

«Mamma tu non puoi capire». «Sì amore e voglio aiutarti» Una madre svela gli abusi sui minori a Jesolo e Bibione

VENEZIA. «Tu non puoi capire, mamma, il mio dolore». «Amore, è vero, però cerco di mettermi nei tuoi panni e sono qui per aiutarti». La mamma è un’imprenditrice pordenonese. Suo figlio, ora maggiorenne, è una delle due parti offese nel processo che vede imputato di violenza sessuale aggravata dall’abuso di autorità e di detenzione di materiale pedopornografico, un ex aiuto animatore nella colonia estiva.

Non aveva ancora compiuto 11 anni, nell’estate al mare a Jesolo, nel 2010, in cui la sua vita è cambiata completamente. Ne aveva 13 l’altro ragazzino che, l’anno dopo a Bibione, secondo gli inquirenti fu costretto a subire e compiere atti sessuali da parte dello stesso ex aiuto animatore, 32 anni, trevigiano, inserito in una cooperativa di Treviso tramite il progetto di inclusione lavorativa Sil.

«Mio figlio, in prima media, è cambiato e non capivo perché. Prima era gioioso, il leader della classe. Poi ha rotto i ponti con tutte le sue amicizie storiche, ha iniziato a frequentare persone che non mi piacevano, a tagliarsi le braccia, non dormiva più», ricorda mestamente la madre.

Sono stati i carabinieri a risalire all’identità dell’imputato, grazie a un’attività investigativa molto articolata, protrattasi per quasi due anni, dopo la prima denuncia, sporta nel 2014 proprio dall’imprenditrice pordenonese. Per quattro anni suo figlio si è tenuto tutto dentro.

«Una sera sono andata a prenderlo al campo scuola», l’imprenditrice rievoca quel momento, «In auto mi ha detto: “Ti devo dire una cosa, è successa una cosa brutta. Ho sputato alla mia ex ragazza”. Mi sono stupita: di solito non è un ragazzino maleducato. Gli ho chiesto: “Come mai? Hai fatto un brutto gesto”. E lui mi ha risposto che la sua ex ragazza aveva detto davanti ai suoi amici una cosa bruttissima che gli era successa quando era piccolo e che sapeva solo lei».

La mamma gli ha chiesto di cosa si trattasse. «E lui mi ha risposto: “Mi hanno violentato”. Mi sono bloccata al volante, poi ho subito accostato – prosegue nel racconto – l’ho abbracciato. Lui era agitatissimo. Mi ha raccontato tutto. Ha detto di non avermelo rivelato prima perché temeva di ferirmi. Io l’ho rassicurato: “Pensi che sia colpa tua, ma non è così, avevi solo dieci anni”. Poi mio figlio si è chiuso a riccio».

Nel prosieguo delle indagini il ragazzino ha ridimensionato le condotte dell’aiuto animatore, specificando di non aver subito abusi, ma soltanto strusciamenti (cosa che rientra comunque nell’ipotesi di reato di violenza sessuale). Gli inquirenti invece ipotizzano condotte più gravi da parte dell’aiuto animatore nei confronti del tredicenne a Bibione, con il quale si sarebbe chiuso a chiave in una stanza.

Il figlio dell’imprenditrice pernottava in una casa di ferie marine di Jesolo, l’altro adolescente, invece, era ospitato in una altra casa sempre di ferie marine di Bibione. La gestione di entrambe le strutture, di proprietà della diocesi, era affidata alla cooperativa trevigiana.

Le due parti offese saranno sentite il 6 giugno, nella prossima udienza del tribunale collegiale di Venezia, prima sezione penale.

Prima delle udienze, il dolore ritorna, misto a rabbia. «Mio figlio, ora, è abbastanza sereno, anche se ha un equilibrio diverso. Questa vicenda – conclude la mamma – lo ha segnato. La sua vita da bambino è diventata quella di un adolescente trattato male. A dieci anni, uno si domanda “Perché tutto questo è successo a me?” Il dolore che ha dentro mio figlio non si placherà mai, ma forse diminuirà se ci sarà una sentenza di condanna».

©RIPRODUZIONE RISERVATA.

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia