Viaggio sull’Osellino fra natura, zone relax e degrado

Da San Giuliano a Tessera, percorrendo la parte più trafficata del fiume. Si scoprono uccelli acquatici, fiori, frutti. Ma anche pontili diroccati, scarichi fognari e zone incendiate

MESTRE. Chiunque usi una barca a motore o a remi sa che, a dispetto di quanto si possa immaginare, il canale che attraversa Mestre e sfocia in laguna, cambia a ogni tratto e non è mai uguale a se stesso: colori, profumi, puzze. Percorrendo il basso corso dell’Osellino, dalle porte di Mestre fino a Tessera, ci si imbatte in argini più o meno usurati, rive che stanno cedendo, barche semiaffondate e una vegetazione, in alcuni tratti fittissima. Ecco quel che abbiamo visto nel nostro viaggio (ci si può orientare con i numeri e la mappa pubblicata sotto).

La “spiaggetta” (1). Costeggiando il Ponte della Libertà e avvicinandosi al polmone verde di Mestre, dove guarda Venezia, si incontra la “spiaggia” dei mestrini che non amano andare a Jesolo. Sono in tanti, infatti, coloro che prendono a noleggio la bici e si recano a prendere il sole a Punta San Giuliano. Qui gli argini rinforzati stanno in qualche punto cedendo e il letto del canale è piuttosto ampio, tanto che si incontrano non solo imbarcazioni a motore, ma anche canoisti che si allenano. L’acqua non è ancora bassissima e per fortuna, navigando, il motore non tocca il fondo. L’argine che dà sulla laguna, però, è bruciato già in questo tratto, a causa del secondo incendio, in ordine di tempo, che ha riguardato la barena in queste due settimane, quello del 14 agosto.

Le Porte Vinciane (2). Navigando in direzione Jesolo, si finisce quasi addosso alle Porte Vinciane, vale a dire il manufatto Alle Rotte, primo vero accesso alla laguna: le barche ci passano in mezzo e svoltano in direzione Campalto, nella zona, per intenderci, che confina con il canile del Parco di San Giuliano.

Parco San Giuliano (3). Forse, con la barca, ci si rende meglio conto di quanto sia davvero grande il polmone verde e di quanto ci voglia per circumnavigarlo nel suo lato anfibio. Salutando chi corre costeggiando le rive, si inizia il percorso del canale che costeggia la “ciclovia delle barene”. L’acqua è più bassa (alcuni giorni neanche si riesce a uscire perché sfiora i 20 centimetri), il colore poco incoraggiante, così pure l’odore. Le piante e gli arbusti che si sporgono in acqua, aggrovigliandosi nel letto del canale, sono un rifugio per uccelli acquatici: anatre e anatidi di vario genere e dimensione, trampolieri come garzette, aironi bianchi e aironi cinerini. Ma anche nutrie, che zompano qua e là, nuotano sotto acqua e poi riemergono. Dall’altra parte dell’argine invece, si vedono moltissimi fagiani e fagianelle. Poco oltre, si trova un cantiere nautico dismesso.

La zona dei cantieri nautici (4). Di seguito la “Nautirimessa Marzenego e ancora il cantiere nautico “Cestaro”. Lungo la “ciclovia delle barene”, ci sono cartelli con tanto di scritta in cui si avvisa che c’è divieto di mangiare i vegetali, ma lungo le rive crescono piante di fichi selvatici, mele e more cui è difficile dire di no. Basta avvicinarsi con la barca piano piano per riempire un carico e portarselo a casa. Volendo, di fame non si muore. In alcuni tratti di riva, scivolano verso l’acqua resti di scarichi edili, scheletri di letti, carcasse di metallo, bottiglie di plastica a volontà, immondizia di ogni genere che oramai si è mimetizzata, diventando praticamente del colore dell’acqua. Osservando bene, si notano gli orti dismessi dei residenti di Villaggio Laguna, quando ancora ognuno aveva il suo, nonostante l’inquinamento e la successiva bonifica. Si passa il pontile della Salsola, i posti barca dell’associazione Vivere la Laguna. Alcuni piccoli approdi che spuntano dalle sponde sono pericolanti, perché il fango del letto del Marzenego li ha fatti sprofondare, mentre si distinguono le rive dove sono stati eseguiti dei lavori, per scongiurare cedimenti. Come all’altezza del ponte dell’Osellino, dove è stato fatto un intervento di risanamento perché la casa affacciata cedeva.

Il porticciolo di Campalto (5). Qui l’acqua è di un colore indescrivibile, tra il verde e il nerastro, la puzza non è un dettaglio trascurabile.

Il ponte Bailey (6). Guadagnando ancora tratti di Osellino, si raggiunge il ponte realizzato per la messa in sicurezza della zona dell’ex Tiro al piattello, oggi chiuso in attesa della cessione al Comune da parte del Magistrato alle Acque (sembra che ci voglia una vita) e si arriva all’idrovora di Campalto, che assicura il ripristino del dislivello delle acque.

Il depuratore (7). Poco oltre c’è l’impianto gestito da Veritas, che lavora giorno e notte. Qui il letto si allarga, ma a questa altezza i segni del primo incendio che ha bruciato tratti di barena, sono ancora più evidenti: la vegetazione che ricopre l’argine del canale, è completamente bruciata. Le barche qui rispettano poco i limiti di velocità, creando una movimentazione dell’acqua che non fa bene alle rive. Oltre il bosco di Campalto si raggiunge la chiusa che regola il flusso del canale Bazzera e la confluenza con l’Osellino, gli aerei sembrano atterrare sopra i canneti.

Punta Lunga (8). L’associazione Punta Lunga qui ha creato panchine e zona pic-nic, dove in parecchi si godono il fresco. Costeggiando quella che era la “spiaggetta di Tessera”, meta di pisolini per i residenti, si esce nel canale omonimo, dove domina il moto ondoso.

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