Via il direttore del personale il giudice: «La Cini lo riassuma»
La Fondazione Giorgio Cini lo aveva licenziato con l’accusa di aver “dissuaso” una operatrice, fino ad allora dipendente di una cooperativa che collaborava con la stessa Cini, a firmare una proposta lavorativa che arrivava dall’istituzione culturale. Sarebbe stata, a detta della Cini, una «palese insubordinazione». Lui, Mauro Frongia, responsabile amministrativo e del personale della Fondazione, aveva impugnato il licenziamento disciplinare davanti al tribunale del lavoro. E la giudice Barbara Bortot, nella sentenza pubblicata nei giorni scorsi, gli ha dato ragione, annullando il licenziamento e condannando la Cini al reintegro di Frongia, oltre che a pagargli fino a 12 mensilità e 5mila euro di spese legali.
Oggetto del contendere, il comportamento che il responsabile del personale della Fondazione avrebbe tenuto nei confronti di una operatrice su cui la stessa Cini voleva investire con una assunzione, dopo anni di precariato in una cooperativa da cui la donna voleva alla fine dimettersi. «Il dottor Frongia, in aperto contrasto, anziché agevolarne l’assunzione, avrebbe cercato di dissuadere la signora dall’accettare la proposta», contestavano dalla Cini nel ricorso. Comportamento, questo, che avrebbe «scosso la fiducia, denotando la scarsa inclinazione del ricorrente ad attuare con diligenza gli obblighi assunti». Ma la realtà dei fatti, rileva la giudice, «come emerge da atti e testimonianze, sia molto diversa da quella prospettata dalla Fondazione».
«Il segretario generale si è limitato a dire al dottor Frongia di verificare se la signora potesse essere legittimamente assunta. E il dottor Frongia questo ha fatto: ha peraltro valutato che l’assunzione poteva destare dubbi di legittimità, configurando un’ipotesi di intermediazione di manodopera», si legge nella sentenza. Il direttore del personale, insomma, da un lato sapeva che la Fondazione avrebbe voluto assumere l’operatrice, dall’altro aveva ricevuto mandato proprio dal segretario generale di verificare la legittimità dell’operazione. E ritenendo che la Fondazione potesse correre qualche rischio, lo aveva detto apertamente alla candidata, consapevole che comunque l’ultima parola era quella del segretario generale, che infatti aveva alla fine assunto la donna. «Dallo svolgimento dei fatti non risulta quella palese insubordinazione che avrebbe addirittura “sbalordito” il segretario generale. Frongia non ha fatto né più né meno di quanto gli era stato richiesto», conclude la giudice che specifica anche «l’insussistenza del fatto contestato perché Frongia non ha intenzionalmente violato alcuna direttiva della Fondazione». Il tribunale non ha ritenuto però di riconoscere il licenziamento come ritorsivo, come invece chiesto dal ricorrente. La Fondazione Cini potrà ricorrere in appello. —
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