Via Cappuccina: «Spaccio sotto casa, abbandonati da tutti»

I residenti: conosciamo tutte le fasi della vendita della droga. Con i pusher abbassiamo lo sguardo, altrimenti sono aggressivi
Prove passaggio del tram sottopasso stazione di Mestre. Nella foto: via Capuccina Mestre
Prove passaggio del tram sottopasso stazione di Mestre. Nella foto: via Capuccina Mestre

MESTRE. «Chiediamo aiuto ma nessuno ci dà una mano, le forze dell'ordine dicono che non sanno cosa farci e noi siamo abbandonati da tutti». Chiara, abita nella parte finale di via Cappuccina, a due passi dagli uffici dei vigili urbani. La sua, assieme a quella di altre famiglie, è una convivenza quotidiana con spaccio e microcriminalità. «Quello che ci mette in difficoltà, irrita e dà fastidio è che i vigili, per quanto lavorino negli uffici, conoscono le condizioni drammatiche in cui viviamo. Quando abbiamo preso casa qui ci siamo detti: “Siamo tranquilli, sarà una zona presidiata”. Invece ci sono gli spacciatori seduti davanti alle nostre case, le auto dei vigili urbani entrano ed escono, ma non succede niente. Mercoledì, dalla finestra di casa mia, si vedeva la consueta attività di spaccio: il saluto ai clienti e tutta una serie di maneggi, che sappiamo a memoria. Del gruppetto più attivo, un paio sono in bici: quando si avvicinano i clienti, uno dei ragazzi in bici si allontana, poi torna, parlotta con uno a piedi che si allontana e raggiunge il cliente».

La banda. «Gli spacciatori da questa parte di via Cappuccina sono tutti marocchini, non scuri come i nigeriani, ma a loro si sono aggiunti almeno due italiani, due meridionali. A capo della banda un uomo con i capelli brizzolati, gli altri sono giovani e tra di loro c'è un ragazzino che fa il galoppino e avrà sedici anni. Stazionano nell'area del bar all'angolo con via Fogazzaro, frugano ai piedi delle piante che ci sono lungo via Cappuccina, dove secondo noi nascondono la “roba”. Qualche giorno fa il ragazzino cercava a terra disperatamente qualche cosa, frugava come un matto, non la trovava, poi si è avvicinato il capo, hanno continuato a cercare, sembravano in presa a una crisi, nel frattempo il cliente si è stufato e se n’è andato».

La giornata. Il racconto non finisce: «Arrivano circa all’ora di pranzo e l’attività entra nel vivo nel pomeriggio, alle 21 se ne vanno. Il punto è che queste persone si ritrovavano in via Piave, piazzale Bainsizza e adesso stanno sedute tutto il tempo sugli scalini di un emporio indiano e di una sartoria cinese».

La convivenza. «Ho un cane, vado fuori quattro volte al giorno e ho il terrore di uscire di casa, sono una donna di mezza età, ma non mi risparmiano commenti e fischi. Mia figlia ha 21 anni, ma ne dimostra meno, la guardano, le urlano dietro di tutto. E la cosa peggiore è la sensazione di timore, perché non li si può guardare, altrimenti diventano aggressivi, ti dicono a denti stretti “che c....zo vuoi, vuoi prenderle?” Anche con mio marito la stessa cosa: guardarli è pericoloso, vai in giro a occhi bassi sperando di essere lasciato in pace».

Pochi controlli. «E le forze dell'ordine? La loro mancanza è la parte più drammatica. Mercoledì come tante altre volte assistendo a maneggi e scambi di droga, ho chiamato il 113. Stessa risposta di sempre: “Non abbiamo volanti disponibili”. Siccome ho risposto scocciata, ma sempre con educazione, mi hanno richiamato, e non per dirmi che venivano, ma per farmi sapere che devo stare attenta a come parlo perché le telefonate sono registrate. Ho ripetuto che avevo solo salutato, ringraziato magari con ironia e messo giù. Delle loro scuse non mi faccio nulla. E i vigili sono solerti solo a dare le multe».

Conclude: «Poi ho chiamato i carabinieri, che mi hanno detto che vedevano se potevano venire, ma come altre volte, dopo la chiamata alle forze dell'ordine, gli spacciatori si sono volatilizzati».

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