Verso la Mostra del Cinema di Venezia 2011,Leone d'oro alla carriera a Marco Bellocchio

Il regista di "Vincere" sarà alla Mostra con una nuova versione di "Nel nome del padre", un suo film del 1971. Premiato per la sua straordinaria carriera
VENEZIA. E' stato attribuito al regista italiano Marco Bellocchio – una delle personalità più influenti del cinema italiano degli ultimi decenni e uno tra i maggiori autori del cinema contemporaneo – il Leone d’oro alla carriera della 68. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, che si terrà dal 31 agosto al 10 settembre 2011. La decisione è stata presa dal Cda della Biennale di Venezia presieduto da Paolo Baratta, su proposta del direttore della Mostra Marco Mueller.


Nella presentazione al cda della proposta di Leone d’oro alla carriera 2011, il cirettore della Mostra Marco Mueller ha scritto: «Seguire il cinema di Marco Bellocchio ti porta, in ogni suo nuovo film, sempre verso altre destinazioni da quelle che ci sembrava di aver raggiunto  e scoperto. Camminatore instancabile, traghettatore di idee, esploratore  del confine instabile tra se stesso, il cinema e la storia, ha utilizzato come mappa, per orientarsi, il mondo che comincia oltre i confini della realtà visibile (e nell'inconscio). E ha così trovato i modi di espressione più vitali e "giusti" - per raccontare l'urgenza di saperi, individuali e collettivi, indeboliti, o svaniti».


Dopo la cerimonia di consegna del Leone d’oro durante la prossima Mostra sarà presentata la nuova versione di "Nel nome del padre" film di Bellocchio del 1971 non un restauro, ma una nuova opera inedita e "attuale", realizzata dal regista a partire dai materiali del film stesso. Un singolare "director's cut" che invece di durare parecchi minuti di più, risulta più corto rispetto alla prima edizione.


Ecco come lo presenta lo stesso regista, Marco Bellocchio: «Non è stata un'idea fissa, eppure in tutti questi anni mi è tornata in mente, a intervalli vari, anche lunghissimi, l'idea, la convinzione che "Nel nome del padre" non avesse ancora trovato la sua forma definitiva. Liberare alcune immagini è stato privilegiare sempre quanto di lieve, di caldo, di paradossale, di surreale, di crudele anche, senz'essere gratuitamente sadico, di sarcastico, di irridente l'ipocrisia delle istituzioni».


Consacrato già al suo film di debutto, "I pugni in tasca" (1965), come uno degli autori di riferimento del Nuovo Cinema, Marco Bellocchio ha dovuto faticare non poco per "liberarsi" da quel successo inatteso e ingombrante. Vi è riuscito cimentandosi su più fronti: l’eccitazione visionaria di "Nel nome del padre" (1971), il classicismo di "Marcia trionfale" (1976), lo psicodramma de "Il gabbiano" (1977). Per trovare, con "Salto nel vuoto" (1980), un equilibrio fra tendenza alla grande prosa e tensione verso il cinema di poesia. Questo gli ha consentito, a partire dall’incandescente "Diavolo in corpo" (1986), di approfondire la propria ricerca di un cinema in presa diretta sulle pulsioni dell’inconscio, sino al formalismo di "La condanna" (1991) e allo sperimentalismo de "Il sogno della farfalla" (1994). Con la messa in scena della notte dell’inconscio ne "Il principe di Homburg" (1977), Bellocchio ha voluto oggettivare - coniugandoli al passato in "La balia" (1999) e al presente in "Buongiorno, notte" (2003) e in "L’ora di religione", 2002 - i temi che per anni l’hanno travagliato e appassionato. Di recente ha trovato anche la voglia di dare vita a esperienze di formazione e di co-realizzazione con dei giovani allievi, dalle quali prende origine "Sorelle mai", presentato fuori concorso alla Mostra 2010. Il  successo internazionale di "Vincere" (2009) conferma la posizione di Marco Bellocchio, come uno dei maggiori cineasti italiani in attività.

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