Vergombello, una tradizione di famiglia
VENEZIA. Sarà pur vero che la vita è una corsa e che ormai si fa tutto di fretta. Ma è anche vero che a Venezia ci sono luoghi dove l'ingegno, la calma e la pazienza sono fondamentali per far vivere una tradizione.
Nei diamanti, nelle perle e nei ricami d'oro giallo e bianco del Laboratorio Vergombello scintillano i segreti dell'arte orafa che, dal 1932, questa famiglia veneziana tramanda di padre in figlio. Anzi, di padre in figlia, perché dal 2002 è Marta, figlia di Roberto, a custodire i tesori di una storia iniziata fra le calli con il nonno Guido, agli albori del secolo scorso.
La sedia del laboratorio dove ogni giorno, accanto a Roberto, si sedeva Guido, con il suo immancabile grembiule, oggi è il posto di una ragazza giovane che ha deciso di portare avanti la tradizione di famiglia. E papà Roberto non può che esserne fiero: «Fra padri e figli si impara di più», confessa. «Ti senti libero di insegnare quello che vuoi nella consapevolezza che rimarrà tutto fra le quattro mura di casa. Investi sul futuro con più libertà, nonostante non manchi qualche rilassato battibecco, ma questo è normale».
Nel laboratorio di Roberto e Marta Vergombello, nascosto in una piccola corte interna al civico 1565/a di San Marco, arrivano e partono ogni giorno i gioielli delle vetrine di Bulgari, Codognato, Pomellato, Damiani: sono loro a modificarli e ripararli, su richiesta, e a realizzare creazioni su commissione. Da loro si trovano anche i famosissimi moretti scolpiti in ebano e “vestiti” di oro e diamanti interamente a mano: ognuno è diverso dall'altro e a richiederli sono clienti italiani e stranieri che si innamorano di questo oggetto vistoso, importante e tipicamente veneziano. Ci vogliono tanti giorni di lavoro per completare i “ricami” e i motivi che ne decorano il turbante e il vestito con precisione millimetrica, grazie a un meticoloso processo che dal calco in gesso, alla fusione a cera persa, alla decorazione manuale dell'oro garantisce un manufatto puramente artigianale.
Tutto quello che esce da questa piccola bottega-negozio, dagli anelli di fidanzamento a vere e proprie sculture di oro e gemme, è frutto di sapienza artigiana: addirittura le viti, che Roberto e Marta utilizzano per realizzare un'apertura sul retro del moretto, sono fatte a mano.
«Non avrei mai pensato di fare questo lavoro», racconta Marta. «Dopo le scuole superiori ho fatto un anno di università ma ho mollato perché quella non era la mia strada. Ho iniziato a lavorare in laboratorio quasi per curiosità, e poi mi sono appassionata».
Quando ha deciso di intraprendere la strada che prima fu del nonno e oggi è del padre (e sua), Marta non sapeva da che parte girarsi ma un diploma di gemmologa prima e tanta esperienza negli anni successivi l'hanno trasformata nella perfetta erede della tradizione orafa veneziana.
«Quando è tornata dal corso per diventare gemmologa», racconta papà Roberto, «ne sapeva più di me di pietre preziose».
Sugli scaffali del laboratorio Vergombello, dove si respira quell'aria d'altri tempi che fa bene, ci sono gli appunti di Marta - che oltre a riparare e creare gioielli disegna e realizza creazioni personali - e anche quelli del nonno Guido: una miniera di storia, curiosità, dettagli. In un corposo quaderno sono infatti raccolte le miniature del maestro orafo Lavinio Pedrocco, che all'inizio del Novecento disegnava e dipingeva i motivi per gli anelli, i bracciali e i collier che Guido Vergombello realizzava a mano nella sua bottega.
In alcuni casi, nella stessa miniatura, ci sono due motivi diversi: “Conservo queste piccole opere con grande cura», dice Roberto. «All'epoca la realizzazione dei gioielli era il risultato di un doppio lavoro: da un disegno perfetto, che era già opera d'arte di per sé, si passava alla fusione dei metalli. Mio padre, prima della cera persa, la faceva con gli ossi di seppia».
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