Verardo, il figlio operato alla testa

Aggressione a Tamai. Il più giovane della famiglia è stato selvaggiamente picchiato dai rapinatori
Di Rosario Padovano

ANNONE VENETO. È stato operato nella notte alla testa e poi dimesso, nella giornata di ieri, Massimo Verardo, il figlio di Giuseppe Verardo, il pensionato che vanta quote societarie in varie aziende delle province di Pordenone, Treviso e all’Astra Cucine, ad Annone. Il più giovane della famiglia, 49 anni, era stato picchiato selvaggiamente alla testa con il calcio della pistola, venerdì all’alba, nella villetta in via Julia 4, nell’omonimo rione di Tamai (Pordenone). Massimo Verardo, dopo le cure all’ospedale di Pordenone, era stato trasferito a Udine per essere sottoposto a un intervento chirurgico al capo per asportare un ematoma.

Intanto emergono particolari inquietanti dal racconto fornito ai carabinieri proprio da Giuseppe Verardo, il 76enne ex ragioniere del gruppo Maronese, che vanta ancora azioni societarie all’Astra Cucine di Annone, dove però non si presenta di persona da alcuni mesi. «Voi italiani lavorate, noi vi portiamo via tutto», avrebbe detto uno dei banditi che facevano parte del commando composto da quattro persone travestite con una maschera di Carnevale raffigurante un gatto. Sono stati legati Giuseppe e Massimo Verardo e Mariangela Pivetta, 73nne, moglie del primo e madre del secondo.

«Come mi sento adesso? Non mi sarei mai aspettato una cosa del genere, qui a casa mia», ha ammesso Giuseppe Verardo, «provo tanta rabbia. Una persona lavora e si sacrifica per tanti anni, e poi succedono cose del genere. Ci hanno legati e imbavagliati, poi, con le pistole in pugno, ci hanno chiesto soldi e gioielli. Abbiamo preferito collaborare. Ci hanno chiesto dove tenessimo la cassaforte, spiegando che cercavano soldi e gioielli. Indossavano delle maschere e infatti in quei primi istanti di incredulità, quando li ho visti ho pensato: “Ma come, è già carnevale?””. Invece non si trattava di uno scherzo. Era una rapina vera e propria, come quella che aveva subito a settembre il mio amico di una vita, Giovanni Polesello a Sacile.

A Mariangela Pivetta è stato intimato di consegna re denaro per circa 2 mila euro, gioielli custoditi in una cassetta di sicurezza e una pistola Beretta regolarmente detenuta in casa dalla famiglia.

«Con il nastro adesivo», continua Verardo, «ci hanno legato mani e piedi. Per impedirci di gridare e chiedere aiuto hanno preso una maglia di cotone e l’hanno strappata per poi appallottolare i pezzi e metterceli in bocca, imbavagliandoci. Dopo aver rovistato in casa hanno preso le chiavi della Peugeot 107 e sono scappati».

Sul fronte investigativo le indagini sembrano a buon punto. I carabinieri della compagnia di Sacile sembrano aver acquisito elementi utili per capire se ci sia un collegamento con la rapina subita in casa da Giovanni Polesello, di cui Verardo è stato per 40 anni dipendente alla ditta Maronese nella vicina Maron di Brugnera.

Venerdì mattina i criminali hanno percorso a piedi per una ventina di metri un fossato agricolo che costeggia il lato della casa affacciato sui campi, fino a raggiungere un punto facilmente scavalcabile della recinzione.

Ieri i rilievi scientifici si sono focalizzati per buona parte della mattinata proprio sul fossato e sulla recinzione, in cerca di tracce e impronte.

La violenta rapina ha impressionato notevolmente tutta la zona del Veneto Orientale dove la famiglia Verardo operava.

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