Venezia, un alloggio su dieci è su Airbnb. A rischio residenzialità e tessuto sociale

Non solo evasione fiscale e calo di fatturato degli alberghi, l’allarme lanciato dal gruppo europeo di ricerca Insideairbnb

VENEZIA. Più di una casa su dieci del centro storico è su Airbnb. Un numero che, declinato in rapporto agli abitanti, significa undici annunci ogni cento residenti.

Se è vero che Airbnb nasce come portale online per mettere in contatto persone in cerca di una camera per brevi periodi, altrettanto vero è che il fenomeno si è diffuso a macchia d’olio. Tanto più in una città come Venezia in cui il tessuto sociale, come denunciato da residenti, commercianti, albergatori e associazioni cittadine, va disgregandosi un poco alla volta. Eppure gli studi. Finora, si concentrano su due temi: l’evasione fiscale e il calo di fatturato degli alberghi. Senza però puntare la lente di ingrandimento sul problema della residenzialità nei centri abitati.

La questione residenzialità è fotografata da InsideAirbnb, gruppo di ricerca internazionale fondato nel 2014 dall’australiano Murray Cox. «Come viene usato e qual è l’impatto di Airbnb nella tua città?», questa la domanda che campeggia nella home page del sito. Una volta raccolti, i dati sono catalogati e messi a sistema. La situazione veneziana è stata delineata da Alice Corona, esperta di data journalism.

Fino a luglio di quest’anno, ci sono ben 7738 annunci per stanze o appartamenti nel Comune di Venezia, con un +25% rispetto al 2017. Tra questi, almeno 5598 sono “attivi”: hanno, cioè, ricevuto una recensione (e di conseguenza una prenotazione) negli ultimi sei mesi. Il 76% degli annunci si riferisce a case intere e non a una stanza. Cosa ben diversa dagli “spazi extra” da affittare con cui Airbnb si è affacciata sul mercato. Se la lunghezza media di un soggiorno a Venezia è di circa 2,8 notti, quasi sei annunci su dieci sono stati occupati per più di sessanta notti l’anno.

Più della metà degli annunci sono “commerciali”. Si intende un annuncio prenotato per più di 58 giorni l’anno, se si tratta di una casa intera; per 88 giorni l’anno, se si tratta di una stanza singola. Il dato è significativo se si considera che un annuncio, per essere occupato per così tanti giorni l’anno, è reso disponibile per almeno il doppio del tempo. Tradotto: meno case, e per un tempo più lungo, riservate ai residenti.

Gli annunci non sono distribuiti uniformemente nel Comune. Più di sette su dieci sono concentrati nel centro storico, il 6% in estuario e il 18% in Terraferma. Incrociando i dati del Comune sui residenti in centro storico, significa undici annunci ogni cento abitanti. Numeri che stridono con quanto promesso da Airbnb che, sulla pagina web “citizen”, afferma di «contribuire allo sviluppo di un turismo sostenibile in tutto il mondo».

Anche i ricavi non sono distribuiti in maniera uniforme. Un “host” veneziano che affitta un appartamento intero per due ospiti guadagna in media 1.602 euro al mese (19.224 l’anno). Eppure, pare che pochi host concentrino il grosso del guadagno. Il 5% degli host con il più alto profitto vede infatti entrare nelle proprie tasche il 32% del totale degli annunci a Venezia.

Il motivo è che abbondano host che affittano decine e decine di appartamenti: il 27% controlla, infatti, il 61% degli annunci. Le descrizioni dei profili evidenzia che molti annunci sono di strutture tradizionali, tipo Bed&Breakfast, che usano la piattaforma alla stregua di Booking e Expedia. Diversi altri profili appartengono ad agenzie immobiliari: sono attività professionali che gestiscono appartamenti da affittare ai turisti per conto dei proprietari. In molti casi, si tratta di agenzie che operano in Italia o, addirittura, in tutta Europa.

Secondo i dati raccolti, gli host che usano Airbnb in maniera non professionale (quindi per affittare effettivamente la loro casa di residenza) sono solo il 28%. Questi gestiscono il 21% degli annunci e percepiscono il 4% dei ricavi totali realizzati su Airbnb a Venezia. Al contrario, il 5% di chi gestisce case sulla piattaforma arriva a mangiare il 32% dell’intera torta. Insomma, chi non ha alle spalle un’agenzia riceve una parte minima dei guadagni.

E Airbnb percepisce una piccola percentuale sui ricavi degli host. Difficile quindi immaginare che la piattaforma decida di limitare gli annunci a chi gestisce appartamenti in maniera non commerciale. —


 

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