Bassa stagione turistica, a Venezia chiusa la metà dei locali: «È una città fantasma»

Senza visitatori e alle prese con il calo di residenti, il centro storico è vuoto a inizio anno: cartelli di ferie o lavori appesi sulle saracinesche di bar, ristoranti e alberghi. Confesercenti: «Trend in crescita, in molti approfittano del periodo per fare le manutenzioni»

Eugenio Pendolini
Un cartello affisso a un locale in centro storico
Un cartello affisso a un locale in centro storico

Venezia chiusa per ferie. Basta camminare per la città per rendersi conto di quanto il grigio metallizzato delle saracinesche abbassate abbia ormai rimpiazzato, in queste prime settimane del 2025, le luci sempre accese delle vetrine di negozi, bar, osterie, ristoranti e alberghi. Fenomeno comune alle più importanti mete turistiche d’Europa e del mondo, si dirà.

Tant’è vero che mai come in questo periodo dell’anno, i veneziani tornano ad essere “padroni” di calli e campielli solitamente sovraffollati di turismo. Ma, al tempo stesso, un fenomeno che mai come a Venezia si accentua a causa del numero di residenti in perenne discesa. Il che porta a un duplice effetto: da un lato, i pubblici esercizi che un tempo restavano aperti perché riuscivano a lavorare con gli abitanti, oggi decidono di aspettare il Carnevale; dall’altro, chi vive in città fa fatica a trovare una pizzeria aperta in un qualsiasi giorno infrasettimanale. Un cane che si morde la coda.

Non bastasse l’impressione provocata dai continui cartelli “Chiuso per ferie”, la conferma di questo trend arriva anche dai numeri. A fornirli è Confesercenti, secondo cui circa il 50% dei pubblici esercizi in questo periodo è chiuso. «Il trend è in crescita», spiega Angelo Zamprotta, vicepresidente di Confesercenti Venezia, «a sentire fornitori e distributori, quest’anno ilo numero di esercizi chiusi è aumentato. Così come il periodo di chiusura, complice anche un Carnevale alto. In tanti ne approfittano per fare ferie o per dare il via a lavori di manutenzione dentro gli immobili. C’è anche chi decide di chiudere appositamente per Carnevale perché la qualità del turismo si abbassa molto».

La desolazione di una «città fantasma» si è impadronita anche dei punti di aggregazione più frequentati dai giovani (Erberia e fondamenta della Misericordia su tutti). Resta aperto solo chi punta quasi esclusivamente su clientela locale (bar e pasticcerie storiche) o sugli studenti universitari fuorisede. Però i numeri si assottigliano ogni anno che passa. E sì che la stagione turistica si è via via allungata con il passare degli anni. «Che la città si svuoti a gennaio è un fatto normale», spiega Ernesto Pancin (Aepe), «non dimentichiamoci che fino a qualche decennio fa la stagione turistica andava da Pasqua alla Regata Storica di settembre. C’è stato un cambiamento. Poi certo, sessant’anni fa c’erano i veneziani».

Oggi invece a comandare è la stagione. Turistica, ovviamente. In questo ragionamento, pubblici esercizi e alberghi vanno a braccetto: con gli hotel chiusi, nessuno va in cerca di pranzi e cene per sfamarsi.

Circa il 50% degli hotel in città, in questo periodo, ha chiuso i battenti. In località come il Lido, invece, a gennaio sono aperti tre alberghi su quaranta totali. «Negli hotel cittadini che scelgono di restare in funzione siamo sotto al 50% di tasso di occupazione», spiega Claudio Scarpa, direttore Ava, «e dal nostro punto di vista, meno male che c’è questo periodo di bassa stagione che ci consente più tranquillità nei lavori di manutenzione». Allungare la stagione con eventi come capodanno e Carnevale è stato comunque fondamentale, a detta dell’Ava, anche sotto un altro aspetto: «In un periodo di bassa stagione, hanno consentito agli hotel di fare contratti annuali e non stagionali».

Il convitato di pietra resta, ancora una volta, il numero di residenti: siamo a 48 mila (isole escluse). «Abbiamo superato il punto di non ritorno», dice amaro Matteo Secchi di Venessia.com, «al punto che addirittura film di grido che vanno benissimo al botteghino vengono proiettati a Mestre perché ormai in città siamo talmente pochi che non ne vale la pena».

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia