Venezia: «Negata a mio padre una morte dignitosa»
VENEZIA. Lutto in città per la scomparsa di Umberto Grandolfo, 67 anni, inventore dei due negozi “Black Watch” aperti a Mestre in piazza Ferretto nel 1982 e a Venezia in campo San Luca nel 1983 (i due empori hanno cessato l’attività nel 2014). In terraferma e in laguna importò il fashion inglese, originalità e griffe: fu un successo al di sopra di ogni aspettativa che proseguì fino a sei anni fa, quando si manifestarono i primi sintomi della Sla (sclerosi laterale amiotrofica).
Per Umberto Grandolfo, prima la visita poi la diagnosi dei medici che dissero: «Non c’è cura». Un destino segnato: la malattia degenerativa che compromette la muscolatura lo colpisce progressivamente alla parola, ai polmoni, agli arti; sei anni di infermità in casa, un mese in coma all’ospedale civile Santi Giovani e Paolo. È il figlio maggiore Francesco che vive con la madre Cristina - l’altro figlio si chiama Barnaba - a rievocare la sofferenza del padre Umberto che muoveva solo le palpebre.
«Per la nostra famiglia è stato un calvario che si poteva e si doveva evitare. Mia madre gli è sempre stata accanto assistendolo in casa giorno e notte, poi tutti turnandoci ci siamo trasferiti in ospedale. Era uno sportivo di corporatura robusta, alla morte pesava 30 chilogrammi, tracheostomizzato in coma con piaghe e Peg». Il racconto del figlio Francesco si fa ricostruzione dettagliata. «Al momento del ricovero ci siamo rivolti al Comitato etico per la pratica clinica dell’Usl 3 al quale abbiamo chiesto di disattivare le macchine per evitargli ogni sofferenza».
Per Umberto Grandolfo una visita al capezzale, una riunione e una lettera. Aggiunge il figlio: «Il Comitato ci ha risposto che non vi è alcuna documentazione di espressione di volontà del paziente e non vi è nomina di alcun amministratore di sostegno per gli atti sanitari e che ritiene sia eticamente giustificato proseguire la nutrizione parenterale, cioè per via venosa, e sproporzionato il ricorso ad eventuali manovre rianimatorie ed esami diagnostici invasivi. Che significa: bisogna tenerlo in vita. Dopo una settimana, mio padre è mancato». Ora la famiglia Grandolfo lancia un accorato appello al Governo: «Non si capisce perché per il fine vita bisogna andare all’estero, ad esempio in Svizzera. Ogni persona ha il diritto di morire con dignità. È questione di buon senso. Chiediamo al nostro Paese di dotarsi in tempi brevi di una legge sulla cosiddetta morte dolce. Il nostro caro amava la bellezza, la qualità, il lavoro e Venezia».
I funerali di Umberto Grandolfo saranno celebrati mercoledì 29 marzo alle 11 nella chiesa della Madonna dell’Orto.
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