Venezia, l'infermiera addormentava i pazienti col valium per starsene con l'amante
Emergono nuovi retroscena nell'inchiesta sull'infermiera dell'ospedale di Noale sott'accusa per aver cercato di eliminare la moglie dell'uomo con il quale aveva una relazione clandestina
Manuela Scantamburlo
VENEZIA. Manuela Scantamburlo, l'infermiera di Maerne arrestata per tentato omicidio, faceva sul serio. Il pubblico ministero Lucia D'Alessandro ne è convinta e, del resto, e.mail e telefonate lo confermerebbero: è venuto alla luce che i due uomini che aveva assoldato non avrebbero dovuto sparare alla moglie dell'amante, un medico che lavorava nel suo stesso ospedale. Avrebbero dovuto rapirla per poi portarla in un luogo appartato, un boschetto a due passi da Fossò dove avrebbe dovuto arrivare lei, con la pistola acquistata a Genova con un amico, e ucciderla con le sue mani. A «tradirla» e a raccontare tutto ai carabinieri l'amico e collega che avrebbe dovuto ingaggiare i due sequestratori.
Una ricostruzione che mette ancor più nei guai la donna che ieri è comparsa davanti al giudice Luca Marini al quale la rappresentante della Procura aveva chiesto il rinvio a giudizio della Scantamburlo, ma la perizia balistica sulla pistola dei carabinieri del Ris non era ancora pronta e lo sarà tra qualche giorno, così il magistrato ha rinviato l'udienza a martedì 5 aprile. Al Ris era stato chiesto di stabilire se l'arma (una 7,65), sequestrata il 7 aprile dello scorso anno nell'auto mentre l'infermiera e l'amico di origine siciliana ma residente a Mira, Giuseppe Salvatore Pistone, rientravano da Genova dove l'avevano appena acquistata, sia efficiente e quindi potenzialmente letale.
Pistone ha già patteggiato una pena di due anni di reclusione per porto e detenzione della pistola, che aveva anche la matricola abrasa e che proprio lui aveva recuperato dopo che la donna gli aveva chiesto di darle una mano per trovare un'arma. Ma a raccontare tutto ai carabinieri, che hanno poi avviato le indagini mettendo sotto controllo i telefoni dell'infermiera e riuscendo a bloccarla con l'arma clandestina, è stato il collega che inizialmente si era detto disposto a contattare ed ingaggiare due conoscenti che avrebbero dovuto rapire la moglie del medico, che la stava scaricando dopo aver avuto una relazione segreta durata anni proprio per non compromettere il suo matrimonio.L'infermiere complice non è finito sotto inchiesta perchè si è fermato prima di compiere reati: quando ha capito che Manuela Scantamburlo voleva davvero uccidere la rivale in amore e si stava addirittura procurando un'arma, si è presentato ai carabinieri e ha vuotato il sacco, impedendo in questo modo che il diabolico piano andasse in porto.
La donna era stata immediatamente arrestata, poi era riuscita ad ottenere gli arresti domiciliari, ma nell'ottobre scorso era stata rimessa in carcere perchè una testimone l'aveva vista girare per i corridoi dell'ospedale dove lavorava, mentre lei non poteva uscire di casa pena essere accusata di evasione. Il suo difensore, l'avvocato Graziano Stocco, è infine riuscito a farle ottenere nuovamente gli arresti domiciliari dove si trova ancora. L'infermiera ha sempre negato di voler uccidere: in un lungo interrogatorio aveva spiegato che il rapimento e la pistola dovevano servire soltanto a spaventare la moglie dell'amante, in modo da convincerla a lasciarlo andare. La Scantamburlo, il 23 gennaio 2007, aveva salvato numerosi anziani, quando era scoppiato un'incendio nel suo reparto all'Ospedale di Noale, ma durante l'inchiesta sarebbe venuto alla luce che per stare tranquilla con l'amico dottore - quando erano di turno assieme durante la notte - lei metteva il valium nell'acqua che i pazienti bevevano durante la cena serale.
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