Venezia, la battaglia dei take away. Gli artigiani: «Noi penalizzati, salvati i potenti»
VENEZIA. Una «svista». E un provvedimento che «colpisce solo un settore marginale di chi vende cibo sulla pubblica via come artigiani e commercianti. Dimenticandosi dei Pubblici esercizi, che sono la stragrande maggioranza, e dei supermercati». La Confartigianato va all’attacco della delibera comunale che vieta l’apertura di nuovi kebab e pizzerie. «Intento lodevole», dice il segretario dell’associazione artigiani Gianni De Checchi, «ma i limiti valgono solo per artigiani e commercianti, con la dimenticanza della potente associazione dei pubblici esercizi, guidata dal presidente Elio Dazzo e dal segretario Ernesto Pancin».
Per dimostrare la loro tesi, gli artigiani hanno reso noto l’elaborazione dei dati ricavati dall’annuario 2016 della Camera di commercio. Che peraltro non tiene conto delle decine di nuove aperture di bar del primo trimestre del 2017.
«A Venezia le attività di pizza al taglio e kebab di natura artigiana e commerciale sono 56», dice De Checchi, pari al 3,90 per cento, mentre i bar sono 725, pari al 61,49 per cento del totale. I pubblici esercizi in totale (comprese pizzerie e ristoranti) sono invece 994, ovvero l’84,24 per cento. Sempre senza contare le nuove aperture.
È chiaro, sostiene l’associazione, che i cosiddetti bar effettuano somministrazioni di cibo all’interno dei locali e nei loro plateatici sulla pubblica via, ma anche direttamente, come quelle degli altri operatori. In modo sempre più intensivo con panini e cibi in mostra, banchi esterni al locale.
Per essere efficace, dunque, il provvedimento dovrebbe colpire «la totalità dei soggetti che effettuano cibo “take away” e non solo gli estranei alla categoria dei pubblici esercizi».
«Anche perché», spiega De Checchi, le nuove aperture del 2016 che sarebbero state interessate al provvedimento sono in tutto 6, contro le 8 commerciali, le 54 dei pubblici esercizi. Forbice che si allarga ancora nei primi mesi di quest’anno.
Dunque? La Confartigianato ricorda di avere sottoposto al presidente della commissione Paolo Pellegrini e all’assessora al Commercio Francesca Da Villa una serie di osservazioni e miglioramenti al provvedimenti. «Ma non sono state recepite», continua De Checchi, «adesso le rendiamo pubbliche, sicuri che si sia trattato di una svista, per quanto piuttosto grave».
In sintesi, le proposte di modifica della delibera riguardavano l’estensione delle attività permesse per la distribuzione di cibi in strada alle gelaterie, cioccolaterie artigianali, pasticcerie, panificatori e prodotti tipici e artigianali da forno. L’aumento dei controlli e la modifica della delibera del 2003, che introduce «disparità di trattamento e non si è dimostrata efficace». Ma anche il divieto di organizzare «alcol tour», come di moda, con sanzioni e divieto di somministrazione e vendita di alcolici, una rigida regolamentazione delle feste di laurea e addio al celibato, il divieto di consumare cibo in strada non solo a San Marco «La strada scelta dal Comune di Firenze di agire sui controlli e la domanda», dice De Checchi, «può garantire risultati concreti».
Dibattito che adesso approderà in Consiglio comunale, per l’approvazione definitiva della delibera che ricalca la mozione approvata a maggioranza del consigliere Pellegrini. «Ci possono esser e proposte di miglioramento da accogliere», dicono a Ca’ Farsetti. «Un primo passo», lo definisce la giunta. Perché ci si è scordati dei Pubblici esercizi? «Perché per loro il divieto esiste già. Adesso si cerca di bloccare l’emorragìa fermando nuove aperture. Poi penseremo a come regolamentare l’esistente».
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