Operazione sbagliata all’utero, giovane risarcita con 200 mila euro dopo 7 anni
Asportata quantità eccessiva di tessuto, gravi conseguenze per la donna. L’Azienda sanitaria veneziana non ha impugnato la sentenza e ha già saldato il pagamento
Oltre 200 mila euro di risarcimento, in aggiunta al rimborso delle spese legali per sette anni di causa.
È quanto ha ottenuto una donna, oggi 35enne, che nel 2017 ha dovuto subire un pesante intervento chirurgico all’ospedale Civile di Venezia, ricavandone gravissime conseguenze impreviste: ricoverata a causa di alcune lesioni precancerose evidenziate nel corso di un pap-test di routine, l’allora 28enne è stata sottoposta a una procedura ginecologica di conizzazione del collo dell’utero; un’operazione complessa, portata avanti con la tecnica della cosiddetta “lama fredda”, che aveva asportato circa quattro centimetri di collo uterino e che, purtroppo, era risultata in una serie di complicazioni: dolori, emorragie, cicli mestruali irregolari, fino alla diagnosi di stenosi del canale cervicale, condizione che rendeva difficili i rapporti sessuali e, potenzialmente, comprometteva anche la capacità della donna di avere figli.
La giovane si è allora rivolta a uno studio legale ed è stata assistita dagli avvocati Massimo Dragone e Marta Guarda, che hanno portato il suo caso in tribunale, chiamando in causa l’azienda sanitaria veneziana: secondo la tesi dell’accusa la tecnica d’intervento scelta dai medici del Civile sarebbe stata da considerarsi «obsoleta e rischiosa», visto che già nel 2017 per casi simili veniva considerata come migliore e più sicura la cosiddetta elettrochirurgia Leep (Loop electrosurgical excision procedure, in italiano “procedura di escissione elettrochirurgica ad ansa”).
Questa visione, però, non è stata completamente sposata dal giudice, vista la letteratura scientifica che - anche a fronte di rischi per le gravidanze future - indica il metodo a bisturi come più sicuro per evitare un caso di recidiva, anticipato dalla storia clinica della paziente che parlava già di ricadute per il papilloma virus.
Se insomma il ricorso alla tecnica della “lama fredda” poteva risultare giustificato dal caso in questione, lo stesso non si potrebbe dire dell’intervento in sé, che il tribunale ha giudicato “sovradimensionato”: i medici avrebbero infatti asportato quattro volte quanto sarebbe stato necessario, ovvero oltre quattro centimetri contro il centimetro circa raccomandato; questo avrebbe poi comportato uno squilibrio biologico che ha avuto come conseguenze le sofferenze, le difficoltà in ambito sessuale e anche i possibili rischi in caso di gravidanza.
Da qui la sentenza del giudice, che ha riconosciuto alla donna non solo il danno materiale ma anche quello morale.
La sentenza, depositata ad ottobre, è ora divenuta definitiva perché non impugnata dall’Ulss 3 Serenissima, che ha deciso di rispettarne il testo e che ha già provveduto a risarcire la 35enne con quanto stabilito dall’aula.
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