Pili, l’assillo del progetto già dal 2009: ecco le torri, il palazzetto e i parcheggi
Il primo studio realizzato dall’architetto Parenti. Benetazzo ai pm: «Boraso sapeva smuovere gli uffici comunali»

Quello che secondo la Procura era il «cruccio» del sindaco Brugnaro e dei suoi fedelissimi, cioè la vendita e la valorizzazione dell’area dei Pili, affonda le sue radici fin da quando i 41 ettari inquinati ai piedi del ponte della Libertà vengono acquistati, nel 2006, all’asta per cinque milioni di euro dall’imprenditore Brugnaro.
Coinvolgendo diversi professionisti e tentando diverse strade progettuali. Senza mai scemare fino – è la tesi dei pubblici ministeri titolari dell’inchiesta – almeno al 2019, quando cioè si tennero gli ultimi incontri tra gli emissari del magnate Kwong e i rappresentanti del Comune (Donadini e Ceron).
Di progetti in quell’area, infatti, se ne parla fin dal 2009. Prova ne è l’interrogatorio dell’architetto Luciano Parenti, totalmente estraneo all’inchiesta Palude e sentito a novembre scorso dai pubblici ministeri come persona informata sui fatti.
All’epoca Parenti riceve un incarico dalla società Porta di Venezia, facente capo al sindaco e ora confluita nel blind trust, per eseguire uno studio di fattibilità per lo sviluppo dell’area dei Pili.
«Interloquivo con l’amministratore Donadini e solo in alcune occasioni con Brugnaro, che mi diede indicazioni su come sviluppare il progetto, ovvero fornirgli un’idea di sviluppo dell’area che comprendesse la realizzazione di un palazzetto dello sport con capienza da cinque mila posti».
L’idea di partenza prende ispirazione dal waterfront di Cape Town, con la previsione di una capacità edificatoria di 192.570 metri quadri (il cui raddoppio sarebbe stato promesso diversi anni più tardi al magnate di Singapore secondo la tesi dell’accusa, respinta dalle difese degli indagati).
Ma come si compone, quel primo progetto sull’area? «La proposta consegnata a Porta di Venezia riporta un mix di destinazioni, che riassumo in attività commerciali, direzionali, residenziali, parcheggi multipiano, darsena con porto turistico, palazzetto sportivo multifunzionale, una struttura museale che richiamava una vela. Inoltre l’altezza massima delle tre torri che avevo disegnato raggiungeva circa i 70 metri. Nella mia idea progettuale, io ero consapevole che il problema dell’inquinamento doveva essere risolto prima della realizzazione dell’intervento».
Ad ogni modo, dopo aver presentato i documenti del progetto, Parenti non viene più interpellato.
Gli anni passano, l’area dei Pili resta abbandonata e in attesa di un progetto fattibile.
Nel frattempo Brugnaro nel 2015 viene eletto sindaco e, a partire dall’anno successivo con il famoso incontro al Casinò di Venezia, spunta l’interesse concreto del magnate di Singapore Ching Kwong, vicenda finita poi al centro dell’accusa al sindaco, oltre che a Donadini e Ceron, di concorso in corruzione nell’ambito di quella che per la Procura fu una vera e propria trattativa che si svolse tra il 2016 e il 2018 per vendere i 41 ettari e che sfociarono anche in una bozza di masterplan (trovato dalla Finanza negli uffici di Umana).
Molti incontri, cene, scambi di mail con ipotesi di prezzo (150 milioni), ma alla fine non se ne fece nulla.
Brugnaro voleva vendere, Ching cercava un socio. Definitivamente i Pili uscirono dall’orbita del finanziere immobiliarista quando nel 2018, dopo la pubblicazione delle notizie sui movimenti in corso sul futuro dell’area, i suoi esperti certificarono che l’area era enormemente inquinata.
Per i pubblici ministeri Roberto Terzo e Federica Baccaglini, però, gli incontri proseguirono fino al 2019.
Sistema Boraso
Spostandosi sull’altro filone dell’inchiesta, quello relativo ai rapporti tra Boraso e gli imprenditori, una testimonianza sul meccanismo finito al centro dell’inchiesta arriva anche dall’imprenditore Nevio Benetazzo, ascoltato lo scorso novembre dai pubblici ministeri.
«Se non c’è qualcuno che sollecita gli uffici del Comune le pratiche non vengono esitate. Boraso ha la capacità di smuovere gli uffici comunali. Preciso che non remuneravamo Boraso per l’attività di spicciafaccende in sé, ma per il buon esito finale della pratica e dell’affare che lui ci aveva procurato. Il pagamento della sua mediazione era subordinato al buon esito finale della pratica».
Benetazzo è accusato di corruzione in riferimento ai soldi versati per cercare di per favorire la realizzazione del progetto Park 4. 0: quasi 500 posti auto di servizio all’aeroporto. Vicenda iniziata nel lontano 2015 e poi conclusasi in un nulla di fatto.
Secondo l’accusa, in questa vicenda Boraso «in qualità di consigliere ed esponente politico della maggioranza di governo, riceveva da Benetazzo un totale di 80 mila euro nel 2015, quale corrispettivo per aver compiuto un atto contrario ai doveri d’ufficio consistente nella presentazione di un provvedimento e nel sostegno politico e impulso della sua approvazione in Consiglio comunale, con cui venivano disposte modifiche al Piano regolatore della terraferma».
La conoscenza tra Benetazzo e Boraso risale a circa 30 anni fa, i primi favori tra i due iniziano a partire dal 2015: «Avevo sottoscritto un preliminare d’acquisto di un appartamento a Fornesighe di Zoldo di proprietà di Boraso. Non avevo nessuna intenzione di comprare la casa di Boraso ma solo di versargli 80 mila euro con il pretesto della perdita della caparra. Quei soldi dovevano remunerare l’interessamento tecnico di Boraso nella vicenda dell’esproprio dei terreni su cui è stata realizzata la rotonda di ingresso dell’aeroporto. L’Anas voleva darmi 7 euro al metro e quindi in tutto 21 mila euro. Invece abbiamo esperito un arbitrato e l’aiuto di Boraso è stato quello di trovare e collaborare con un agronomo nel fare la valutazione delle piantumazioni. Il collegio arbitrale ha riconosciuto il valore di 1,8 milioni e poi con l’occupazione d’urgenza ho ricevuto 2,7 milioni».
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia