Venezia, il paradiso perduto delle tartarughe

Nelle nostre acque arrivano fino a 70 mila esemplari per nutrirsi e riprodursi. Alcuni entrano in laguna. I risultati di Cetnet, il primo organismo scientifico che le ha studiate

VENEZIA. Venezia romantica anche per le tartarughe marine. Il Golfo di Venezia e l’Alto Adriatico sono infatti il luogo dove buona parte della popolazione di tartarughe del Mediterraneo viene a nutrirsi e riprodursi.
L’hanno scoperto gli scienziati e i ricercatori di Cetnet, il network per la tutela dei cetacei e delle tartarughe marine nell’Adriatico, di cui il Comune di Venezia è capofila. I risultati sono stati presentati giovedì 3 dicembre a Palazzo Cavalli Franchetti, a Venezia
Nel mare fuori di casa sono infatti presenti fino a 70 mila esemplari di tartarughe marine, uno tra le zone più densamente popolate del Mondo. Questo vuol dire che anche gli umani devono imparare a convivere con una popolazione che ha alcuni bisogni elementari.
«Si tratta infatti di specie migratrici che soggiornano in Alto Adriatico soprattutto d'estate, per poi scendere verso sud (Mediterraneo centro-orientale) in autunno, anche se non mancano esemplari che svernano in zona», spiega Nicola Novarini, del Museo di Storia Naturale, uno dei ricercatori responsabili dello studio, «Da noi gli animali vengono soprattutto ad alimentarsi nelle fasi crescita, perciò il golfo di Venezia è estrememente importante non per le "nostre" tartarughe, ma proprio per l'intera popolazione mediterranea. Qui lungo la costa veneta abbiamo più il polso della mortalità però in quanto la maggior parte degli esemplari che osserviamo sono carcasse spiaggiate o animali feriti/malati, anche se non mancano osservazioni occasionali di animali in salute. Nel complesso annualmente raccogliamo circa 60-120 segnalazioni, inclusi vivi, feriti e morti».
Tra le cause di morte al primo posto la pesca a strascico. «Le cause principali della mortalità sono senza dubbio la pesca professionale (spesso affogano nelle reti a strascico o, più di rado, in quelle da posta) e l'impatto con imbarcazioni da diporto (esemplari con carapace fraturato o "affettato" dalle eliche, come infatti talvolta è capitato di riportare anche al vostro quotidiano nei mesi estivi)», spiega Novarini, «Ovviamente anche specifiche patologie di questi rettili possono avere occasionali effetti, come per tutti gli animali. Non abbiamo dati certi su un'eventuale diminuzione della popolazione perchè lo studio sistematico della specie (qui è presente soprattutto Caretta caretta) in Adriatico è relativamente recente, ma se consideriamo che per l'Adriatico è stimata una frequenza di catture accidentali di circa 11.000 esemplari l'anno da parte della sola pesca a strascico al fondo, anche considerando che non tutti affogano (molti sono vivi e vengono rilasciati in mare) si capisce quale può essere l'impatto sulla popolazione».
E forse non tutti sanno che anche la laguna, con le sue acque interne, è uno dei posti preferiti dalle tartarughe. «In Laguna sono prosenti, anche se poco visibili. Vengono a mangiare crostacei, molluschi, ecc. sui bassi fondali, ma la presenza oggi sembra abbastanza occasionale, forse anche per il traffico acqueo che le dissuade dall'avvicinarsi troppo alle coste».
Netcet ha attrezzato anche un sistema di raccolta e cura degli animali feriti assieme a Wwf degli Alberoni, poi curati a Riccione (da Fondazione Cetacea, altro partner del progetto) e rilasciati in mare. Proprio per questi animali (circa una ventina l'anno) è stato messo a punto il centro di primo soccorso Netcet al Lido. Molti si ricorderanno la povera tartaruga avvistata a Venezia nei giorni del Redentore (i peggiori per la presenza di un enorme numero di natanti. Segnalato da diverse persone per diversi giorni, poi è stato recuperato anche lui, curato e liberato sul delta del Po alcuni mesi dopo.

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