Venezia, I primi 60 splendidi anni del Belmond Hotel Cipriani
VENEZIA. Dev’essere per via della piscina, seicento metri quadrati di acqua color turchese Maldive, filtrata, riscaldata e portata a quella temperatura che fa sembrare calda la primavera e fresca l’estate.
Dev’essere anche per via del giardino, che è un po’ campagna, da tanto butta fuori viti, frutti, ortaggi, e un po’ orto botanico, rigoglioso di quelle stesse piante (oltre trecento) che due secoli e mezzo fa accolsero e protessero i maneggi amorosi di Giacomo Casanova.
I pochi che hanno avuto la fortuna di vederla, dicono invece che è sicuramente per via della suite Palladio, novanta metri quadrati tra cielo e laguna, due bagni, salotto, vetrate a tutta altezza, a 180 gradi, terrazza personale con Jacuzzi, motoscafo a disposizione giorno e notte e maggiordomo (discretamente) in attesa fuori dalla porta.
Il Belmond Hotel Cipriani ha infinite prospettive, tutte felici. La sua stessa storia è una collana di idee luminose, di scelte fortunate e incontri propizi, a cominciare da quello che legò il fondatore, Giuseppe Cipriani, alle tre sorelle Guinness, Lady Honor Svejdor, la Viscontessa Boyd of Merton e Lady Bridgit Ness, i cui nomi sembravano usciti dalla pagine di Jane Austen e il cui spirito fu altrettanto intrepido.
Nel 1958, dopo l’acquisto di due ettari di terreno sulla punta della Giudecca, in quella zona chiamata Zitelle per via dei conventi di clausura dove le ricche famiglie veneziane relegavano le primogenite, sulla quale silenziosamente Cipriani aveva messo gli occhi da anni, l’hotel aprì i battenti.
Si distinse subito per un lusso non ostentato, per un’accoglienza che sapeva (anche) di casa, un’eleganza che non era solo nella profusione degli argenti e nello splendore dei marmi, ma era nei piccoli dettagli, nella disposizione dei fiori, nelle voci sussurrate, nello spessore della moquette, nel taglio del filetto Carpaccio e, soprattutto, nel capitale umano.
Giuseppe Cipriani riuscì a ricomporre su scala alberghiera l’incanto, mai svelato fino in fondo, che da sempre abita l’Harry’s bar, oggi gestito dal figlio Arrigo. Ed è stata proprio la conservazione, nei decenni, di questa armonia tra l’offrire e il ricevere; è stato il passaggio di consegne prima a James Sherwood, e poi all’Orient-Express, ora Belmond Hotels & Cruises, dalle mani di Natale Rusconi, che lo diresse per trent’anni, dal 1977 al 2007, a quelle salde del general manager Giampaolo Ottazzi, con la presidenza di Giorgio Giorgi che era lì nei giorni in cui si gettavano le fondamenta, a far sì che il Belmond Cipriani sia stato scelto come buen retiro da divi di Hollywood e capi di Stato, teste coronate e stelle del rock, registi e stilisti, fino a George Clooney, che lo considera la sua seconda casa.
Novantasei camere, 230 dipendenti quando l’albergo è a pieno regime, quindi 1,2 di media per ogni cliente, gli arredi dell’architetto parigino Gérard Gallet, che ha scelto per ogni stanza pezzi d’antiquariato, stoffe Fortuny, quadri d’autore, il Belmond Hotel Cipriani possiede infinite certezze.
Come il braccio del doorman Roberto, al pontile d’attracco, l’occhio vigile di Stefano, che sovrintende alla piscina, i piatti dello chef stellato Davide Bisetto che dirige la cucina del ristorante Oro, del collega Roberto Gatto, a capo del Cip’s (che a sua volta compie vent’anni) e l’abilità quasi divinatoria del head barman Walter Bolzonella, che è un capitolo a parte.
Sessant’anni dopo quel lunedì 26 maggio 1958, il Belmond Cipriani offrirà una notte al prezzo di allora, e cioè a 8 mila lire, che equivalgono a 3,98 euro (le camere sono andate bruciate in pochi minuti), un concerto sull’acqua con il pianista Marco Ballaben (il 22 giugno), un giro a bordo dell’Edipo Re, una colazione all’alba in cima alla Scala del Bovolo, una cena nel vigneto. Primo appuntamento del sessantesimo sabato 5 maggio, con dinner ai bordi della piscina. L’invito sorride tra le peonie. Dress code: smart casual.
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