Venezia, “Compasso d’oro” alle finestre d’ottone del T Fondaco

Il prestigioso riconoscimento all’architetto Alberto Torsello per aver progettato una struttura leggera, solida e luminosa 
Alberto Torsello, compasso d'oro
Alberto Torsello, compasso d'oro

Il “Compasso d’oro” è il premio dei premi del design italiano: quest’anno, uno dei preziosi riconoscimenti dell’Associazione per il Disegno Industriale è stato assegnato all’architetto veneziano Alberto Torsello, che con lo studio TaArchitettura ha firmato – tra molti altri progetti – anche il restauro della Misericordia, con il pavimento ramato tra le antiche colonne, e quello del Cinema Italia, che ha ritrovato una bellezza liberty tra gli scaffali di un supermercato.

Il Compasso, però, Torsello l’ha vinto insieme alla Secco Sistemi di Preganziol, grazie al progetto della finestra OS2 75: un profilo metallico declinato in “mille” varianti e tre diverse maniglie, che ha raggiunto livelli di luce, resistenza e leggerezza tali da conquistare la giuria: «OS2 75 stabilisce un nuovo standard», si legge nella motivazione, «combinando taglio termico e isolamento a dimensioni contenute e ad una interessante flessibilità estetica grazie ai profili in acciaio verniciato, Corten, acciaio inossidabile, ottone brunito».



OS2 75 è l’evoluzione di OS2, che dà luce alle 400 finestre del T Fontego e che tanti brusii provocò per quell’ottone così scintillante sul Canal Grande: «Bastava dare tempo, al tempo. Come previsto, oggi è già brunita», osserva l’architetto.

Il Compasso d’oro è un premio.... pesante: emozionato?

«Sì, sono contento, perché è arrivato non atteso a premiare 20 anni di un lavoro che ha acquisito una riconoscibilità propria. E penso che mio padre Paolo, architetto e professore all’Iuav, e nonno Germano – un eclettico inventore salentino di fine Ottocento, collezionista che scambiava lettere con Einstein – ne sarebbero felici».

Come è nata OS2 e, a proposito, che significa questa sigla?

«Non lo saprà mai», ride, «ognuno ha i propri segreti! È nata nel 2008, pensando al restauro di Villa Emo a Fanzolo di Vedelago: all’epoca non c’era sul mercato una finestra sottile, che garantisse le prestazioni oggi richieste dalle norme, non rinunciando a luce e bellezza. È nata come un tributo alla bellezza dell’architettura veneta e all’ingegno dei grandi maestri, come Palladio e Carlo Scarpa: un elemento che si adatta alla storia degli edifici e al contempo ne riscrive il futuro, in chiave moderna e sostenibile. Ringrazio Secco Sistemi per averci creduto. “La perfezione è provar e riprovar”, diceva Leonardo».

A Venezia – come per il Fondaco – ogni intervento contemporaneo si porta appresso un seguito di polemiche: stimolano a far meglio o per voi sono solo un rumore di fondo?

«Al Fontego c’è la “madre” della finestra che oggi ha vinto il Compasso e, come si è visto, ora è naturalmente brunita. La polemica dal nostro punto di vista spesso è un fastidio che non aiuta. Se mi poni un problema da risolvere, se inneschi conoscenza, mi confronto con te, ma se è solo un “non mi piace” allora chi se ne frega: si va avanti. Purtroppo oggi c’è chi spara a zero per diventare visibile, emergere dalla mediocrità. Io seguo sempre un insegnamento di mio padre».

Ovvero...

«Negli anni 70-80 l’architettura venne data per morta, perché autoreferenziale, fatta per restare solo in una foto: non più espressione di una società, di un’epoca, ma di un architetto. Mio padre diceva invece che la nuova architettura nasce dalla tensione che devi creare con l’antico: pensare al restauro non come un’ideologia, una religione per salvare ciò che c’è e basta, ma come elemento che ti costringe a ripensare l’architettura, le sue funzioni, nel rispetto di ciò che c’è, avendo sempre il bello in testa: come faceva Scarpa».

Ora a cosa sta lavorando?

«A un progetto non mio, il recupero dei Giardini reali e come capita quando si interviene a Venezia, è un videogame a 10 livelli di difficoltà: ma ora è in moto. E nella Serra ci sarà OS2. La cosa di cui sono più orgoglioso è che è un sistema che permette di generare nuovi spazi: l’architettura, prima di tutto, spazi e luce».

E il Compasso d’oro dove lo terrà: a casa o in studio?

«In studio, per fare squadra».

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