Venezia, chiude la trattora "Alle Vignole". I clienti: "Salviamolo, è un luogo della memoria"

Dopo quasi un secolo la storica trattoria non riaprirà i battenti. Ma la città di mobilita

VENEZIA. Non è solo un ristorante all’aperto. Ma un’oasi in mezzo alla laguna. Un luogo della memoria per generazioni di Veneziani e abitanti dell’estuario. E ancora oggi uno dei pochissimi locali lagunari dove si può arrivare solo in barca. Così alla notizia che quest’anno la Trattoria alle Vignole non aprirà, un momento di panico si è sparso tra le migliaia di affezionati che da metà maggio al 30 settembre ogni anno lo frequentano. Antonio “Toni” Vianello ha deciso di mollare. 64 anni, è dietro quel banco gestito dal padre e dalla sua famiglia da quando ne aveva 15. Adesso basta. «Troppi costi, troppo stanco. E poi i clienti non ci sono». Subito è partito il tam-tam: «Toni, ripensaci. Quel luogo non può chiudere». I clienti sono tutti residenti. Turisti pochissimi, si contano sulle dita di una mano Dunque, in teoria, la clientela ci sarebbe. «Anche se», scuote la testa preoccupato il titolare, «soldi non ne girano. Gondolieri e motoscafisti sono fermi da mesi».

Adesso gli affezionati pensano a un appello e una raccolta di firme da inviare anche al Comune. In fondo, le Vignole sono un luogo quasi storico. Vista impareggiabile della laguna placida al tramonto, Arsenale da una parte, San Michele e Murano dall’altra. Quiete e suoni della campagna a pochi minuti da San Marco. Quel servizio molto ruspante e un po’ naif. Toni ai fornelli, da mattina a sera. La moglie e 12 dipendenti ai banchi. L’altoparlante che gracchia il nome del cliente. Take-away dalla cucina ai tavoli in giardino, servizio auto organizzato. Chilometro zero che di più non si può. Pesce della laguna, verdura dei grandi orti delle Vignole. Una specie di miraggio per chi arriva accaldato in barca nei giorni d’estate.

Toni e la sua famiglia gestiscono la storica trattoria dal secondo dopoguerra. Foto ingiallite, in bianco e nero, mostrano dei primi avventori. Le barche a remi, i silenzi di un luogo che a parte i motori è rimasto uguale a settant’anni fa. Il vociare dei clienti, i canti i bambini che giocano.

Cancellato. Si parla di movimenti per la vendita del locale, che appartiene a una facoltosa famiglia veneziana. Oppure il cambio di gestione. Qualcuno si è fatto avanti, come i produttori di vino della vicina isola di Sant’Erasmo. «Non c’è niente, sono tutte chiacchiere», dice Vianello.

Intanto il cancello di legno che segna l’ingresso all’isola è sbarrato con catena e lucchetto. Tavoli vuoti, silenzio irreale. Neanche una barca ormeggiata su canale con le piante che ricadono in acqua, la stretta via d’acqua percorribile solo da ci conosce a fondo la morfologìa e le secche di quella parte di laguna.

«Mi hanno telefonato in tanti, i chiedono di ripensarci», sorride Antonio, «questo mi fa piacere, perché significa che in tanti mi vogliono bene».

Un altro segno di una laguna che cambia faccia. Qualche anno fa aveva chiuso i battenti anche l’altro ristorante delle Vignole Nuove, altro punto di riferimento per il popolo delle barche. Altri hanno aperto all’interno un agriturismo e un biologico. Anch’essi in difficoltà adesso per la mancanza dei clienti.

Ma le Vignole sono un’altra cosa. Un luogo che per i Veneziani vale molto. Un tempo ci si arrivava a remi, attraversando il canale delle Navi per chi viene dalle Fondamente Nuove e dall’Arsenale, per San Pietro e la Certosa per chi viene da Castello. Adesso non si può più. Troppo pericoloso la notte con i motoscafi che sfrecciano e le barche in quantità.

Ma questo era prima della pandemia e del coronavirus. Adesso le barche sono molte meno. Sono ricomparse le barche a remi. «I clienti ci sono, noi siamo pronti a tornare, le Vignole sono una bandiera», dicono compatti i soci della Vela al Terzo, che ha sede all’Arsenale proprio di fronte alle Vignole: «Toni, ripensaci». —


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