Venezia: Calle dei Fabbri, ma chiamatela Chinatown

Ecco una delle zone di Venezia «colonizzate» dai commercianti orientali. I fratelli De Franceschi, ultimi veneziani rimasti

VENEZIA. I cinesi colonizzano Calle dei Fabbri. In meno di tre anni sulla lunga calle sono sorte undici attività gestite dagli occhi a mandorla. Ristoranti, bar, pelletterie, negozi di souvenir simili a un bazar dove trovi di tutto a un euro e perfino un negozio di abbigliamento per bambini in fasce.

L’ultimo attività ad aprire, «il mese scorso», è stato un bazar a ridosso del ponte a metà della calle, fino a prima di un ragazzo veneziano. L’attività pioniera della calle è il ristorante Da Gioia, da tre anni in mano ai cinesi. Un rapido avanzare in tempi molto stretti e parallelo alla crisi economica del 2009, acquisizione regolare di licenze costose e di spazi un tempo gestiti dai veneziani. E’ il caso dell’osteria La Mosca Cieca, ora amministrata dai cinesi, cosi come il ristorante Marco Polo e il bar Oasi.

Calle dei Fabbri è una vera e propria Chinatown sommersa, spesso irriconoscibile perché «il nome dell’attività rimane lo stesso», segnala l’Ascom di Venezia. E non sempre dietro al banco trovi un cinese. Uno specchio ingrandito di quanto accade in tutto il centro storico, da Strada Nuova fino a Rialto. «Negli ultimi 5 anni - osserva Confcommercio - le imprese gestite dai cinesi nel comparto commerciale sono cresciute del 38,1%».

Se ne contano 358 nella provincia di Venezia. «Dopo il primo ristorante - spiegano gli altri commercianti di calle dei Fabbri - nel giro di pochissimo tempo hanno aperto altri negozi gestiti sempre dai cinesi e la densità lo dimostra». E da calle dei Fabbri, i cinesi hanno raggiunto campo San Luca. Ma non è dello stesso parere Fabrizio, si fa chiamare così un cinese di 26 anni che gestisce una pelletteria prossima a campo San Luca e da meno di un anno: «Non ci conosciamo tutti tra noi. Perché tu conosci tutti gli italiani?», risponde. Dal lato di San Marco di calle dei Barri ci sono i ristoranti, i bar e i negozi di souvenir, poi verso campo San Luca le attività che soddisfano il mercato dei residenti. Attività multiformi che inglobano il mercato turistico della città, le abitudini cittadine e tengono aperto il doppio delle attività gestite dai veneziani, soprattutto nelle ore notturne. Un mutamento rapido in corso di cui ne è segno in calle dei Fabbri la bottega dei fratelli Armando e Paolo De Franceschi aperta dal 1959. Vendono dentifrici, saponi e bagnoschiuma e in quella bottega «sono passati divi del cinema e un giorno anche Rostropovich», racconta il 71enne Armando, «il violoncellista russo».

La sua vetrina colorata è quasi un ultimo baluardo, adesso attorniato da bar di proprietà cinese. «Non è un problema di etnia», dice l’assessore al Commercio, Carla Rey, in merito a questa trasformazione, «se a gestire i locali siano i cinesi, gli africani o gli italiani». «E’ invece una questione di qualità delle merci», osserva l’assessore. «La chiave è quella di valorizzare l’artigianato locale», prosegue, «e garantire un’offerta commerciale meno omologata è il modo per preservare l’economia locale della città e il servizio destinato ai residenti, investendo su un offerta sempre più differenziata».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia