Medici di base veneziani esasperati dalle aggressioni: «Mettiamo telecamere in ambulatorio»
Il presidente dell’Ordine: «Fenomeno crescente. La soluzione nelle medicine di gruppo, dove ci sono più professionisti»
Videosorveglianza nelle sale d’attesa delle medicine di gruppo. Per l’Ordine dei medici della provincia di Venezia non c’è altra soluzione per arginare il fenomeno delle aggressioni, sia fisiche e verbali, che non ci sono solo nei Pronto soccorso, ma sono all’ordine del giorno anche negli ambulatori dei medici di medicina generale.
Pazienti impazienti, spesso spazientiti dall’attesa, esasperati dai loro bisogni, danno in escandescenza nelle sale d’attesa, davanti ad altri malati.
«Bisogna mettere le telecamere di videosorveglianza con gli appositi cartelli segnaletici nelle sale d’aspetto dei medici, rispettando la privacy: serve un investimento tecnologico» sottolinea il presidente dell’Ordine, Giovanni Leoni, facendo presente come un rafforzamento della sicurezza sia non solo auspicabile, ma assolutamente necessario, perché le aggressioni sono in crescita.
Il motivo? «La mancanza di fiducia verso le istituzioni, così come il fatto di interfacciarsi con persone miti, che hanno scelto di svolgere una professione d’aiuto. Non se la prendono mai con i gestori di una palestra di kickboxing» ironizza.
Numeri alla mano, Leoni fa presente come in Veneto ogni 1.000 medici, 36 abbiano segnalato di aver subito delle aggressioni durante l’orario di lavoro. La proporzione diventa ancora più importante se consideriamo il personale infermieristico: con 50 dipendenti che hanno segnalato di essere stati aggrediti.
Numeri più elevati solo in Emilia-Romagna (51) e Lombardia (67). Va anche sottolineato che due episodi su tre riguardano le donne: dottoresse e infermiere
Per Maurizio Scassola, segretario della Federazione italiana dei medici di base (Fimmg) del Veneto, le aggressioni sono l’espressione di «un continuo malessere tra pazienti e medici, dettato anche dalle pratiche amministrative».
Sui medici di base, insomma, si accumulano tutte le tensioni del Sistema Sanitario Nazionale.
Da dove partire per risolvere il problema? Scassola non ha dubbi: «Dalle medicine di gruppo, che permettono di offrire ai cittadini un servizio migliore». Se l’Usl 3 è messa bene, con una percentuale di medicine di gruppo più alta della media regionale, il segretario della Fimmg sottolinea come in Veneto Orientale si possa fare di più, visto che il 60% dei medici ha uno studio singolo.
«Lavorare da soli, soprattutto in questo periodo storico, è difficile. I medici devono avere la possibilità di essere aiutati e, nel caso delle aggressioni, essere in una medicina di gruppo significa anche avere dei testimoni» fa presente Leoni.
Le medicine di gruppo nella Città metropolitana di Venezia sono 55, 14 di queste in Veneto Orientale. La distribuzione sul territorio è disomogenea, visto che il 70% si trova nel Distretto 2, di Venezia Terraferma.
In centro storico, i medici che esercitano da soli sono il 57% (11), mentre cinque le medicine di gruppo presenti, a cui vanno aggiunte anche tre reti di medici.
«Il futuro della sanità si gioca a livello territoriale, e la riforma che introduce le Case di comunità ne è la prova. È fondamentale sollecitare i sindaci affinché offrano un modello che aiuti le piccole frazioni, ma non si può pensare che ci sia un ambulatorio ogni manciata di chilometri, non è una scelta sostenibile» ribadisce Scassola.
Gli ambulatori periferici, a dire il vero, non mancano: nella Città Metropolitana sono 83, su un totale complessivo di 257 studi medici. Il grosso si trova tra Mirano-Dolo, Chioggia e il Veneto Orientale.
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