A Venezia gli accorpamenti delle parrocchie rallentano
Da diciannove devono diventare sei. Il Patriarcato: avanti così, non c’è altra scelta. Anche la Prefettura deve dare il parere

L’aggregazione delle parrocchie - che da 19 passeranno a sei - procede a rilento, a causa delle procedure e della burocrazia, che si intrecciano con aspetti amministrativi.
Ogni pratica, infatti, deve passare attraverso il vaglio della Prefettura, che svolge un’istruttoria sulla base della documentazione fornita dalla Cancelleria patriarcale.
Dai parroci, intanto, si leva un appello: «Comprendiamo la scelta degli accorpamenti, ma facciamo sempre più fatica» a causa dei carichi di lavoro a gestire più chiese contemporaneamente.
La parrocchia apripista, conferma il Patriarcato, sarà quella del Santissimo Salvatore Vulgo dal Salvador e Santo Stefano, però, la procedura non è ancora finita: «Ci vuole pazienza».
La parrocchia apripista
«È da vent’anni che ci stiamo lavorando, ora abbiamo bisogno di qualche mese per concludere l’iter» spiega il parroco, don Roberto Donadoni, che aggiunge: «non c’è più tempo per aspettare».
Fin dal momento in cui avevano ricevuto la missiva di Moraglia, i sacerdoti si erano detti favorevoli al ridimensionamento, diventato una necessità a causa del calo demografico e del progressivo spopolamento della città.
Oggi, nonostante il riconoscimento delle sei parrocchie non sia ancora avvenuto, nel concreto le varie realtà hanno già iniziato ad accorpare i patronati e a condensare la celebrazione delle messe. Inevitabilmente, è emerso il grande carico di lavoro che ricade sulle spalle dei parroci.
«Io ho dieci chiese e mi piace sempre dire che ho 25 caldaie, e sono solo. I due sacerdoti che sono con me si occupano della parte pastorale, non di quella amministrativa. Perciò il carico è grosso. Si cerca di responsabilizzare i laici e i collaboratori» aggiunge, sottolineando come non ci siano altre strade.
Da San Pietro a San Giobbe
Anche nella parrocchia di San Pietro Apostolo ci sono delle preoccupazioni, dettate dall’accorpamento delle quattro realtà precedenti, Sant’Elena compresa.
«Fortunatamente siamo in quattro salesiani, così possiamo dividerci il lavoro» commenta don Paolo Balter, arrivato la scorsa estate, «finché abbiamo le forze, possiamo farcela. Per me è ancora tutto nuovo, ma mi sembra che stia andando bene, proprio perché non sono solo».
Anche nella sua zona, nonostante il riconoscimento ufficiale non sia ancora arrivato, le celebrazioni ufficiali già da tempo vengono fatte a San Pietro.
Don Antonio Papa, arrivato a San Giobbe lo scorso autunno, sottolinea come «ci sia molta incertezza» che, nel suo caso, riguarda principalmente la conversione della parrocchia di San Geremia e Lucia in un santuario.
Per il resto, guarda alla situazione del suo territorio con ottimismo: «Vedo una comunità variegata, in cui ci sono anche tante famiglie giovani. Dovremo uscire fuori e non accontentarci di quelli che vengono in chiesa. Come diceva papa Roncalli, la parrocchia può essere l’antica fontana del villaggio».
Il piano
La riorganizzazione delle parrocchie veneziane prevede la loro riduzione da 19 a sei, una la chiesa di riferimento per il culto quotidiano, uno anche il parroco che poi verrà aiutato da altri preti, diaconi e laici, perché la parola chiave della riforma è proprio «collaborazione», necessaria affinché il sistema possa reggere, a maggior ragione in un momento storico caratterizzato dalla crisi vocazionale.
È ancora incerto il destino delle chiese che resteranno, quelle in cui non si celebrerà il culto quotidiano, ma i sacerdoti l’avevano ribadito fin da subito: l’intenzione è quella di lasciarle aperte alla comunità.
Un esempio è quella di San Geremia e Lucia, a Cannaregio, che diventerà un santuario per celebrare il culto di Santa Lucia.
La lettera del Patriarca
Era novembre quando il Patriarca, in seguito a una visita pastorale, inviò a tutti i parroci la lettera in cui presentava la nuova riorganizzazione.
Nella missiva, spiegava di aver trovato «alcune comunità affaticate per le mutate condizioni sociali e demografiche ma anche la vitalità di parrocchie che hanno colto l’opportunità e il valore di essere in collaborazione pastorale».
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