Vende eroina alle ragazzine a Mestre. Finisce ai domiciliari

Arrestato dalla polizia mentre cede le dosi a due minorenni si difende: "Mi avevano detto di avere 18 anni". La droga peggiore sta spopolando tra i nostri adolescenti
Polizia alla stazione di Mestre
Polizia alla stazione di Mestre

MESTRE. «Tranquillo, siamo maggiorenni». È bastata questa rassicurazione al tunisino Sabeur Hammadi, 27 anni, residente nel Veneto Orientale e con numerosi precedenti, per vendere due dosi di eroina a due ragazzine, che in realtà erano minori. Così ieri mattina l’uomo, difeso dall’avvocato Marco Zanchi, si è difeso nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto davanti alla gip Marta Paccagnella. L’accusa a suo carico è di spaccio di droga con l’aggravante di aver ceduto la sostanza a due minorenni. La gip ha convalidato l’arresto e disposto gli arresti domiciliari.

Sabeur Hammadi, sposato e regolare in Italia, ha spiegato che con lo spaccio di eroina voleva arrotondare. Venerdì, nella zona tra via Dante e via Gorizia, era stato avvicinato dalle due ragazzine che gli avevano chiesto la droga. Il tunisino aveva risposto che non ce l’aveva, ma che sarebbe stato in grado di procurarla in breve tempo. Secondo il racconto che ha fatto alla giudice, il 27enne avrebbe però chiesto alle due se avevano 18 anni. E loro avrebbero risposto di sì, dando il via libera al tunisino che poco dopo sarebbe ritornato con le bustine di eroina.

Ad individuare il tunisino erano stati i poliziotti in borghese del commissariato di Mestre che perlustrano la città anche in sella alle biciclette. Gli agenti avevano visto il nordafricano che, anche lui in bicicletta, si avvicinava alle due ragazzine a cui consegnava due bustine in cambio di 50 euro. Gli agenti avevano fermato sia il tunisino, poi arrestato, che le due ragazzine. Addosso al 27enne erano stati trovati 140 euro, secondo gli inquirenti provento dell’attività illecita, e 4 grammi di hashish che l’uomo aveva accuratamente nascosto nell’elastico delle mutande. (ru.b.)
 

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia