«Una sentenza allucinante andremo in Cassazione»

Omicidio Pamio. I difensori di Monica Busetto hanno letto le motivazioni «La presenza di Dna è minima, non può essere la prova per un ergastolo»

«Una sentenza allucinante». L’avvocato Alessandro Doglioni sfoglia le motivazioni della sentenza, con le quali il presidente della Corte d’assise d’appello Gioacchino Termini spiega perché Monica Busetto sia stata condannata all’ergastolo per l’omicidio di Lida Taffi Pamio, l’anziana vicina di casa. Per la Corte, è una prova inconfutabile di colpevolezza l’infinitesimale presenza di Dna della vittima rilevato nel laboratorio della Polizia scientifica a Roma (dopo un primo risultato negativo) e Susanna “Milly” Lazzarini è credibile quando, dopo quattro interrogatori nei quali si è auto accusata del delitto (dopo essere stata arrestata per l’omicidio di Francesca Vianello), cambia versione e racconta che subito dopo aver aggredito la signora Lida che l’aveva scoperta a rubare, sulla porta è apparsa Monica Busetto, che - dopo «uno scambio di battute» - ha deciso di partecipare al delitto, dando la coltellata mortale alla vicina che «la sputtanava».

«Una sentenza che non ha né capo né coda», prosegue il legale, pronto a impugnare in Cassazione la condanna all’ergastolo e che, con il collega Stefano Busetto, ha fatto ricorso al Tribunale del Riesame per chiedere che Monica Busetto possa lasciare il carcere per gli arresti domiciliari, in attesa che la vicenda giudiziaria si concluda: l’udienza in programma per venerdì 24 è stata spostata al 3 marzo.

«Nella prima parte, la sentenza copia quella di primo grado», prosegue Doglioni, «prendendo per vera la presenza di Dna, che per il nostro consulente è, invece, un chiaro caso di contaminazione, dal momento che i primi riscontri erano stati negativi. Produrremo la consulenza di un esperto di statistica forense che dice non solo che la percentuale di Dna rilevata non è riconosciuta come attendibile, ma anche che in Svizzera c’è una legge che esclude le prove quando non sia certa l’impossibilità di contaminazione».

Quanto a Lazzarini, «come si legge in sentenza, “irrompe” all’improvviso: per i giudici, racconta un sacco di bugie quando per lunghi interrogatori ripete che ad uccidere la signora Lida è stata solo lei, ammettono che cambia versione a seconda delle contestazioni della Procura, ma diventa credibile quando racconta che Busetto sarebbe apparsa all’improvviso mentre stava ammazzando la signora, si sarebbero messe a discutere “tu chi sei, cosa fai” e dopo quello che il giudice definisce “uno scambio di battute”, Busetto avrebbe deciso di approfittare della situazione e uccidere. Allucinante. Di Lazzarini c’è il Dna nella stanza del delitto, insieme a quello di un uomo rimasto sconosciuto, la cui impronta è anche su un cassetto. E, questo, almeno la sentenza lo riconosce».

Infine, conclude l’avvocato, «ci ritroviamo nella situazione assurda che Busetto è stata condannata per l’omicidio da sola, mentre Lazzarini sarà rinviata a giudizio per quello stesso omicidio “in concorso” con Busetto. Una aberrazione ».

Roberta De Rossi

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