Una “Panama Papers” per festeggiare gli 823 neo dottori

Alessia Cerantola, cafoscarina premiata per l’inchiesta a San Marco. «Pronta a dare qualche suggerimento ai neolaureati»
Alessia Cerantola e il lancio dei tocchi all'americana da pochi anni copiato a Venezia
Alessia Cerantola e il lancio dei tocchi all'americana da pochi anni copiato a Venezia
VENEZIA. È una dei 376 giornalisti che hanno lavorato per l’inchiesta nota come “Panama Papers”, che ha ricevuto il Premio Pulitzer 2017. È cofondatrice del primo sito d’inchiesta in Italia chiamato Irpi. Oggi alle 14,30 in Piazza San Marco la bassanese Alessia Cerantola, classe 1981, prenderà spunto dalle esperienze della sua vita per dare dei suggerimenti agli 823 neodottori, inclusi quelli del Campus di Treviso. 
 
Com’è nata la passione per il giornalismo? «Mi sono laureata in Giapponese a Ca’ Foscari nel 2005 con una tesi di filologia, traducendo un testo giapponese del 1700 con forti interferenze cinesi. All’inizio ho insegnato cinese e giapponese e volevo proseguire con gli studi, poi ho fatto delle traduzioni di rassegne stampa internazionali dal giapponese all’italiano e alla fine ho deciso di iscrivermi al Master di giornalismo a Torino, collaborando con la redazione di Futura. Ho fatto lo stage all’Ansa di Tokyo e, dopo essere diventata professionista nel 2011, proprio una settimana prima di Fukushima, mi sono sempre occupata di Giappone, facendo da corrispondente per Il Sole 24 Ore e altri media stranieri, come la Bbc con la quale ancora oggi lavoro. Con loro ho fatto molti reportage radiofonici, iniziando proprio da Fukushima, poi ho realizzato un documentario, Odissea RU486 sulla pillola abortiva che è stato trasmesso via Skype». 
 
Da quando si occupa di giornalismo d’inchiesta? «Anni fa ho avuto l’occasione di andare a Orlando dove si riunivano i giornalisti investigativi provenienti da tutto il mondo. Eravamo solo una manciata di italiani. Dopo aver partecipato a quell’evento ho capito cos’era quel tipo di giornalismo, e che volevo fare quello e impegnarmi in inchieste di gruppo. Anche per questo quando sono tornata ho iniziato a mettere le basi per il sito www.irpi.eu (Investigative reporting project Italy) di cui sono cofondatrice. Il progetto, ispirato al modello anglosassone, è partito nel 2012 e adesso stiamo diventando sempre più un punto di riferimento in Italia per il giornalismo d'inchiesta. Siamo otto nel direttivo, sedici in generale e circa duecento collaboratori».
 
 Come è stata scelta per l’inchiesta Panama Papers? «Panama Papers è il nome dell'inchiesta a cui hanno partecipato 376 giornalisti. Il Süddeutsche Zeitung aveva ricevuto quasi 12 milioni di file sui legami tra paradiso fiscale e diverse personalità o aziende. Era tantissimo materiale, per questo il quotidiano tedesco si è rivolto all’Icij (www.icij.org) il consorzio di giornalisti investigativo, e hanno iniziato a scegliere giornalisti di varie parti del mondo assegnando ai diversi gruppi una parte di materiale. Io sono stata chiamata da una collega italiana, Scilla Alecci, per entrare nel team della squadra giapponese con altre due colleghe giapponesi». 
 
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