«Una lama nella carne dei tempi Noi testimoni del suo valore»
L’INTERVISTA
«Una lama nella carne viva del nostro tempo. L’iniziativa di Büchel ci costringe tutti a riflettere sul nostro tempo, è questa la funzione più vitale dell’arte contemporanea». Beppe Caccia è a bordo della Mare Jonio, nave di cui è armatore, partita ieri mattina da Lampedusa per raggiungere, nella tarda serata, la zona Sar (Search And Rescue) a trenta miglia dalla costa libica, con l’obiettivo di salvare i migranti in mare nel loro viaggio disperato verso le coste dell’Europa e dell’Italia.
«Mi spiace non poter essere a Venezia per l’apertura della Biennale. Perché l’iniziativa di Büchel e la scelta della Biennale di esporre il relitto testimoniano di quella che è forse la più vitale funzione dell’arte contemporanea», racconta Caccia, raggiunto al telefono ieri pomeriggio durante la navigazione verso la zona Sar, a nord di Zuara, «costringere tutti a riflettere sul proprio tempo. Che tu possa vivere tempi interessanti, recita il titolo di questa edizione: tempi interessanti sono anche tempi di tragedie che si consumano sotto i nostri occhi e rispetto alle quali terribile è il rischio dell’assuefazione».
Per voi della Mare Jonio, che siete lì, a 30 miglia dalla Libia, qual è il significato del barcone esposto all’Arsenale dalla Biennale?
«Barca nostra ricorda al mondo la tragedia di un’Europa che, nel Mediterraneo, rinunciando a salvare vite umane e spesso consegnandole ai loro carcerieri e aguzzini in Libia, sta smarrendo i suoi principi e valori di diritto, libertà e democrazia. Nessuno meglio di noi, qui testimoni a 30 miglia dalla costa libica, può comprendere il valore di Barca Nostra. Chi starnazza contro Büchel e Baratta si mette invece dalla parte di quanti saranno chiamati a rispondere, certamente di fronte alla Storia, magari davanti a qualche Corte internazionale, di crimini contro l’umanità».
Quella tragedia del 2015, nella quale morirono 700 persone, pesò sulla sua scelta di diventare armatore e di dare vita, con la Mare Jonio, al progetto Mediterranea per il salvataggio dei migranti?
«Devo confessare che nel conto delle stragi che hanno fatto del nostro Mediterraneo il più grande cimitero a cielo aperto del mondo anche io, personalmente, avevo perso la memoria del naufragio del relitto conservato ad Augusta e della storia del suo recupero. Parliamo di un conto statistico che supera le 30 mila vittime. E mentre c’è chi festeggia la riduzione degli sbarchi, l’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, ci ricorda che in questi primi mesi del 2019 è affogata una persona su tre fra quanti hanno provato ad attraversare il mare. Mediterranea, con le missioni della Mare Jonio, nasce proprio perché ci siamo guardati allo specchio e ci siamo chiesti: quando tra vent’anni i miei figli mi chiederanno “dov’eri quando è accaduto tutto ciò?” che cosa potrò loro rispondere?».
C’è chi dice che questa non è arte ma politica e che quindi dovrebbe stare fuori dalla Biennale.
«L’arte contemporanea ha lasciato un segno proprio quando ha infilato la lama nella carne viva delle contraddizioni del nostro tempo. Ricordo come Picasso, a un gerarca nazista che gli chiedeva di fronte al quadro di Guernica: “Avete fatto voi questo orrore, maestro?”, rispose: “No, l’avete fatto voi’. Non c’è risposta migliore oggi, di fronte a Barca Nostra, agli aspiranti critici d’arte dalla coda di paglia».
Barca Nostra ci ricorda la tragedia del Mediterraneo, diventato un cimitero. Ma in molta opinione pubblica non c’è ancora piena consapevolezza di questa tragedia.
«Non bisogna mai pensare che le cose siano immutabili, che non si possano aprire brecce nell’indifferenza o peggio nell’esibizione dell’odio. Il clima nel nostro Paese è già cambiato rispetto all’estate scorsa, quando abbiamo dato vita a Mediterranea. Sempre più voci, religiose e laiche, prendono parola a difesa dell’obbligo di salvare vite umane in mare e di sbarcarle in un porto sicuro dove i loro diritti siano rispettati. Le nostre città sono piene di esempi positivi di accoglienza dignitosa e inclusione sociale. Ne sono sicuro: alla fine non vinceranno quelli che hanno costruito le loro miserabili carriere politiche sulla produzione dell’odio e della paura. Alla fine vincerà l’umanità, quella che guarda sgomenta il relitto esposto all’Arsenale e che anche da questo trarrà nuova energia per cambiare davvero le cose». —
Francesco Furlan
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