UNA FOTO, UNA STORIA / Panettone a Venezia da 6 generazioni / FOTO

La pasticceria Rosa Salva ne sforna anche quest’anno 3.500 chili: un record costruito sulla qualità

VENEZIA. Passano le epoche, cambiano i volti, le architetture, gli strumenti, ma il profumo di pasticceria lungo le calli è sempre quello che ti fa allentare il passo e accantonare la fretta, per affidarti al sapore del caffè e a un fiore di pasta frolla che cambia la giornata.

Finalmente, dunque, sta arrivando il Natale, il giorno in cui ci si ferma e si sta a tavola fino a tardo pomeriggio, l'unico dell'anno in cui, crisi o non crisi, il panettone è sempre di casa. Nel laboratorio della storica pasticceria veneziana Rosa Salva, in Calle Fiubera, questo momento è ancora un miraggio. Lo sanno bene Ermenegildo Rosa Salva, per tutti “Lalo”, e i suoi figli Antonio ed Enrico, che insieme sono la sesta generazione dell'azienda gastronomica fondata nel 1879 da Andrea, il cuoco-pionere che mise le ruote alla sua cucina per portare pranzi e cene a domicilio in tutto il Triveneto.

Fra forni, impastatrici e tavoli di lavoro pieni di delizie, in Calle Fiubera si procede a ritmi serrati per sfornare quei 3500 chili di panettone che, anche quest'anno, entreranno nelle case dei veneziani, dei veneti e dei tanti italiani affezionati alla firma in corsivo che coccola i palati da fine Ottocento. Ma non solo: nella frenetica squadra di Rosa Salva c'è chi corre su e giù per il laboratorio con i nastri lucidi per chiudere i pacchi di Natale, chi mette a punto gli ultimi tacchini per i clienti che non cucinano ma ordinano i buffet a domicilio, chi aggiunge l'ultima casetta di zucchero ai tronchetti di cioccolata e chi, naturalmente, continua a servire caffè, cappuccini, brioches e budini al bancone del bar.

È tempo di corse ma anche di ricordi, sempre pronti a spuntare dal cassetto dell'azienda veneziana che con i suoi ambitissimi catering ha messo a tavola re e regine, conti e contesse, presidenti della Repubblica, cantanti, attori e persino il duce: a Vittorio Veneto, nel 1923. Ora che siamo nel pieno delle feste, è bello parlare di panettoni e creme chantilly, immaginando un laboratorio di pasticceria in bianco e nero ma pieno di quel profumo che sa di casa. “Lalo” ricorda bene com'era la vita di un pasticcere natalizio che non conosceva la tecnologia: “Quando ero bambino, negli anni '50, in laboratorio c'erano i forni a carbone e le celle di lievitazione. L'impasto del panettone veniva messo in una botte di Marsala tagliata a metà, a cui venivano attaccate delle ruote per trasportare il tutto nelle celle”. “I pasticceri dormivano in laboratorio e spesso ci dormivo pure io, dentro il cassettone di un mobile», racconta ancora Lalo. « Quando le varie fasi di lievitazione terminavano, si alzava un'asticella, scattava l'allarme e i pasticceri scendevano dal letto per lavorare l'impasto».

I tempi di preparazione di un panettone artigianale come quello di Rosa Salva sono lunghissimi, oggi come allora: dall'impasto al confezionamento passano 24 ore. «Impastiamo la sera», raccontano Lalo e Antonio. « Dopo una lievitazione di 12 ore aggiungiamo gli agrumi e l'uvetta e lasciamo lievitare per altre due ore negli stampi, re-impastiamo il tutto a mano, procediamo con le ultime sei ore di lievitazione e con la cottura, che va dalla mezz'ora alle tre ore».

Nel laboratorio di Calle Fiubera si producono dai 110 ai 220 chili di panettone al giorno. «Oggi la tecnologia aiuta molto», confessa Antonio. «Le temperature sono regolabili e i lieviti stabili, riusciamo a programmare la produzione mantenendola artigianale ma con ritmi semi-industriali».

Velocità, tecnologia, grandi volumi, e tanta contabilità, che al secondo piano della pasticceria in Calle Fiubera si accumula quotidianamente. Rosa Salva è un'azienda storica in linea con la frenesia moderna, ma piena di ricordi, e anche di nostalgia, per i tempi in cui i nonni attaccavano i conti scritti a mano sulle ante degli armadi, l'ufficio era un semplice tavolino a pochi passi dal bancone dei dolci e le signore in pelliccia aiutavano a curare il radicchio in laboratorio: «In fondo, però, la nostra pasticceria è sempre il solito porto di mare», chiudono Lalo e Antonio. «Di qui passano i figli dei figli che hanno conosciuto i nostri nonni e bisnonni: lavoriamo in uno spaccato di venezianità ancora pieno di calore».

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