UNA FOTO, UNA STORIA / Lavoratori del mare, feste di solitudine

Sono migliaia, vengono da lontano sulle navi da crociera e sui mercantili. Li segue la onlus “SMF”

VENEZIA. Possono indossare giacche bianche da cameriere o tute da lavoro, cappellini da cuoco, elmetti da cantiere, costumi da ballo o divise fradice di sudore. Possono avere il sorriso stampato sulle labbra, oppure uno sguardo troppo stanco per guardare il cielo.

Ognuno di loro ha una storia alle spalle, un numero da chiamare, un popolo di pensieri accanto e una vita da mandare avanti. Sono sempre là, alla Stazione Marittima e a Porto Marghera: arrivano a gruppi di migliaia e si muovono nell’ombra, lontano da palazzi, bellezze e campanili che forse non vedranno mai. Sono i lavoratori del mare, i “marittimi”, i “seamen” che anche quest’anno trascorrono le feste di fine anno a migliaia di chilometri da mogli, mariti, figli e amori che hanno imparato a immaginarli come abitanti di un mondo nomade che si muove sull’acqua, assaggia la terra e torna a girare nel suo mare di fatica e silenzio.

Approdano al porto di Venezia a bordo di navi da crociera e navi mercantili, si fermano per pochi giorni, a volte per poche ore, e ripartono per una nuova destinazione. Arrivano da ogni parte del mondo e lasciano le loro case per servire i croceristi o movimentare container; alcuni di loro solcano i mari anche per più di un anno intero e solo grazie a skype riconoscono il sorriso di una persona amata, o vedono per la prima volta il viso del proprio bambino appena nato.

Gli operatori della onlus Stella Maris’ Friends (SMF) hanno centinaia di storie da raccontare perché, dal 2001, accolgono i lavoratori portuali nel Seamen’s club della Stazione marittima. Lì, li assistono nel fare spese, telefonate, accedere a internet o sbrigare questioni burocratiche che altrimenti resterebbero irrisolte.

Ma non solo: con loro, che arrivano principalmente dall’Est Europa o da Paesi lontani come l’Indonesia, le Filippine, l’India e la Cina, chiacchierano, mangiano e ridono, colorando di “normalità” una routine lavorativa che si ripete uguale tutti i giorni, in un mare di onde dove non ci sono porte da aprire, né distrazioni, né voci familiari.

«Il mondo dei lavoratori marittimi, che hanno turni di lavoro molto duri sia sulle navi da crociera sia su quelle mercantili, non è molto conosciuto», racconta Andrea Pesce, direttore di SMF. «Lavorano in media 84 ore alla settimana, sette giorni su sette, e nei loro Paesi hanno case da costruire e famiglie da mantenere.

Le navi attraccano e mollano gli ormeggi nel giro di 12-24 ore e, in così poco tempo, i marittimi devono risolvere vari problemi: mandare i soldi a casa, telefonare alle famiglie, fare spese, informarsi su quel che succede nei loro Paesi d’origine, in alcuni casi chiedere aiuto perché non vengono pagati da mesi».

«I contatti con il mondo esterno, mentre i lavoratori sono in navigazione, sono pochissimi, e molti di loro soffrono l'isolamento e la sensazione di sradicamento da casa», continua Pesce. «Per questo, quando scendono a terra, cercano di recuperare il contatto umano, con le loro famiglie ma anche con qualcuno che, semplicemente, parli con loro e li ascolti».

Alla Stella Ma. ris lavorano dieci operatori, un gruppo in cui la giovane forza femminile, costituita da Anita, Marta, Anna e Tatiana, è importantissima e avvalorata dalla loro capacità di parlare bene le lingue straniere.

Il team della SMF sale a bordo delle navi mercantili appena attraccate, accompagna i lavoratori nei centri commerciali, mette a disposizione un club con telefoni, internet point e spesso raccoglie storie piene di tenerezza, come quella di un ufficiale cinese che, appena approdato a Venezia, ha chiesto ad Andrea di comprare una rosa rossa, chiuderla in una busta e spedirla alla sua fidanzata assieme a una boccetta di profumo.

Oppure quella di un marittimo filippino che vedeva Venezia dall'oblò della sua cabina e raccontava di non riuscire a guardare le luci del tramonto, mentre la nave andava.

«La dimensione del romantico non c'è sulle navi», conclude Andrea Pesce. «Le luci del tramonto fanno pensare a casa, alla famiglia e a molti lavoratori tutto questo fa male. Il nostro obiettivo è donare loro uno spaccato di normalità e far sì che, seppur non vedendo San Marco o Rialto, il loro ricordo di Venezia si riempia di accoglienza e comprensione».

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