UNA FOTO, UNA STORIA / Dalla laguna alla conquista della cima del vulcano
VENEZIA. Sempre pronti per l’avventura. Ieri mattina gli istruttori del Cai Stefano Ferro di Murano, Roberta De Lorenzo del Lido, Martina Monego di Mestre e Jonathan Hoyte, californiano trapiantato a Venezia, hanno preso un aereo per raggiungere Quito, capitale dell’Ecuador, e incamminarsi sulla più alta cima delle Ande ecuadoregne. L'obiettivo è scalare l’imperioso Chimborazo, un vulcano di 6.310 metri di altezza, tutti insieme, vivendo a contatto per circa due intense settimane con la montagna, la passione che ormai li unisce da molti anni. La difficoltà del percorso estremo è dimostrata dalla temperatura che troveranno a mano a mano che si avvicinano sul tetto andino che raggiungerà sempre di più i 20 gradi sotto zero, rendendo il corpo a corpo con la natura una vera sfida.
Per prepararsi alla scalata di una delle montagne più alte del Sudamerica, i quattro in realtà non hanno modificato le loro abitudini: «Quello che non può mancare nel nostro zaino è il parmigiano, l’unico alimento indispensabile. Siamo tutti istruttori del CAI – racconta Ferro, parte dei “Gransi”, il gruppo di arrampicatori veneziani – e ogni settimana andiamo a camminare o ad arrampicare in montagna. Siamo sempre allenati per partire! Certo, ogni volta i giorni che precedono la partenza sono pieni di dubbi su che cosa ci aspetta, ma l’emozione della scoperta e dell’avventura è più forte, unita a quella di fare qualcosa di speciale con mia moglie Roberta e i miei amici».
Non è la prima volta che si recano in Sudamerica, la loro meta preferita. Gli scorsi anni sono andati in Perù e in Bolivia, ma non hanno disdegnato la Patagonia e una sosta a Buenos Aires, per rilassare il corpo sulle note del tango argentino nelle milonghe della città. È proprio girando per il Sudamerica che hanno conosciuto il Chimborazo: «Ci hanno sempre parlato della bellezza di questa arrampicata – prosegue Ferro – e alla fine abbiamo scelto di provare. Ci sono alcune parti più impegnative come un ghiacciaio da attraversare, ma essendo tutti istruttori della scuola di alpinismo saremo prudenti. Non solo abbiamo imparato l’autosoccorso, ma avremo un telefono satellitare in caso di necessità». Il periodo migliore per l’impresa è proprio questo dato che in Ecuador è primavera. Il Chimborazo si trova però a 180 chilometri da Quito.
Arrivati nella capitale, i quattro prenderanno un fuoristrada per raggiungere la base del vulcano, chiamato “Papà Chimborazo”, in riferimento alla vicina montagna “Tungurahua”, di soli 500 metri. I primi cinque giorni serviranno per abituare il corpo alla pressione atmosferica. «Faremo all’inizio delle cime minori – spiega Ferro – per poi proseguire verso una cima alta dove ci fermeremo per due giorni». Ognuno porterà uno zaino di 32 chili in cui ci sarà l’immancabile grana, il thermos, minestrine liofilizzate e tante barrette che sostituiscono il pasto, ma nello zaino di Stefano c’è sempre un posto speciale dove mettere un pezzo di Venezia, il vessillo di San Marco: «Me lo ha regalato un mio caro amico molti anni fa e da allora lo porto sempre con me. Quando arrivo in cima lo aggancio alla piccozza, scatto qualche foto e lo rimetto nello zaino, pronto per un’altra avventura».
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