UNA FOTO, UNA STORIA / A 93 anni fa ancora il panettiere

Giulio Cortella è il più anziano di tutta la città. «Ho iniziato a 14 anni, questo lavoro è la mia vita»

Ogni mattina alle quattro il buio avvolge Giulio. Vestito di bianco si reca al lavoro. «Vado qui vicino. Giro l’angolo, non ho neanche un ponte». Non va di fretta. Al laboratorio, in campo Sant’Agostin, lo attende la passione della sua vita, il forno, l’impastatrice, la filonatrice. Giulio Cortella, classe 1921, è il panettiere più anziano di Venezia. Iniziò a lavorare da ragazzino. Aveva 14 anni quando il Ministero delle Corporazioni gli consegnò il libretto d’ammissione al lavoro per fanciulli. «Lo conservo come una reliquia. È datato 1935». Niente lussi per il piccolo Giulio. «Cominciai bambino a portare ceste di pane sulle spalle. Bisognava guadagnare. Al giorno ne portavo una decina. Andavo e tornavo. Ogni giro 20 schei». Il datore di lavoro gli caricava sulle spalle la gerla colma di pane fresco. Con quel peso, 25 chili, il giovane si spostava a piedi da una parte all’altra della città. Il vaporetto lo prendeva solo per attraversare il canale della Giudecca. Iniziava da Bacalin in calle Santa Maria Formosa. «Andavo fino alla Celestia, a Sant’Elena, all’Accademia. Raggiungevo anche le Zattere, portavo il pane al personale di bordo della nave Adriatica».

Giulio era ligio nel lavoro. «Ma una volta – ricorda il panettiere – ero stanco, non ne potevo più. Con il mio carico mi appoggiai ad un pozzo. Non l’avessi mai fatto. Mi vide “el paron” che era andato a prendersi un caffè. Si avvicinò e mi allungò una “tàngara”. Se non lavoravi erano manrovesci e pedate nel sedere. Erano i metodi educativi di allora». Dopo qualche anno arrivò la paga fissa. «Acquistai la dignità dell’operaio. Vendevo pane nelle rivendite, servivo la gente». Nel frattempo Giulio “rubava” con gli occhi il mestiere. Vedeva impastare farine con il lievito, l’olio, il sale e infornare montasù, rosette, piumini, cuscini.

A 17 anni, finalmente, passò nel laboratorio a fare il pane. «È un lavoro senza fine! Il pane si fa con la testa e con la pasta madre fatta lievitare durante la notte. Ora i tempi sono più rapidi, a scapito della qualità. Facevamo due cotture al giorno, una all’alba e una al pomeriggio. Utilizzo il metodo antico genuino, solo la quantità è ridotta». Ogni giorno inforna un quintale di pane, un tempo erano otto. «Ora i veneziani ne mangiano meno. Sembrano uccellini».

Il lavoro era pesante. A mezzogiorno si fermava per il pasto – glielo portava sua madre – e si riposava un’ora disteso su una tavola del forno. Dal 1940 al 1943 arrivò l’arruolamento e la guerra. «Mi concessero dieci giorni di congedo per buona condotta. Furono gli unici. Non riuscii più a tornare a casa. Mi spedirono in treno a Napoli nella nave ospedale».

Fino al 9 settembre 1943 quando Giulio scappò con tre amici. Tornò a casa a piedi e con mezzi di fortuna passando per La Spezia. Con il terrore negli occhi dovette fermarsi due giorni a Mestre. Era irriconoscibile. «Non potevo andare a casa. Non avevo documenti. Che fare allora? Chiesi aiuto a una donna. A quel tempo guidavano gli autobus, gli uomini erano presenze sporadiche. Gli dissi di raggiungere la mia famiglia per recuperare la carta d’identità di mio fratello. Ci assomigliavamo. Lui, infermiere all’Ospedale al Mare, era prigioniero in Grecia. Riuscii ad arrivare ma rimasi nascosto in soffitta». Giulio prosegue: «Quel giorno a Mestre mi fermò un barbiere. Mi disse: a Venezia non puoi presentarti così. Mi fece bello, una rasatura e un taglio moderno. Ora puoi andare. Non volle una lira».

In città incombeva il silenzio: «Una camera ardente è più rumorosa. Aleggiavano paura e sospetto ma bisognava riprendersi la vita. Solidarietà e lavoro non mancavano, ingredienti essenziali per superare le crisi. El paron mi riassunse».

Giulio convolò a nozze con Clementina di Riese Pio X. Nacquero Francesco e Pierluigi, che segue le orme paterne. Dietro al banco Ersilia, la commessa, sorride: «Le famiglie comperano soprattutto il casereccio, è il più economico. Costa 4 euro al chilo. Il signor Giulio impasta anche i panini con l’uvetta, la pizza, le focacce genovesi e le frittelle di carnevale». La vicina parrucchiera Manuela conclude: «È generoso, è un mito». Giulio, uomo dai valori antichi, sorride e continua a fare il pane.

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