Una città per tutti Così il Giappone va oltre la tragedia

VENEZIA. «Vivere implica il rapporto tra uomini, tra uomini e cose, tra uomini e luoghi (…) Qui si trova la chiave per superare il solipsismo dell’epoca moderna». Poche parole di Toyo Ito che riassumono il senso profondo di quel “Common Ground”, quel terreno comune, che aleggia tra i Padiglioni nazionali ai Giardini della Biennale.
L’architetto giapponese, subito dopo il terremoto e lo tsunami del marzo 2011, si è offerto di trovare soluzioni abitative per coloro che avevano perso la casa. È nato così il progetto “Home-for-All”: il Padiglione del Giappone colpisce dritto al cuore. Ci si aggira tra modellini di case possibili fatte di nulla, foto devastanti dei luoghi cancellati dall’onda anomala e tronchi d’albero arrivati dalla città di Rikuzentakata, dove si sta costruendo la prima “città per tutti”.
Si assiste a quella che è stata la genesi del progetto. Architetti e cittadini si sono incontrati, hanno discusso e confrontato le loro idee sulla ricostruzione e hanno dato vita a un processo creativo collettivo che ha superato l’individualismo professionale. Sono nate così le “Home-for-All”, minimali e belle, costruite utilizzando proprio quell’enorme massa di tronchi d’albero abbattuti dallo tsunami o compromessi comunque dalla salsedine, che sono diventati le assi portanti delle nuove costruzioni.
Dialogo e confronto tra chi costruisce e chi abita: ci credono anche gli studi di architetti francesi che nel padiglione nazionale hanno presentano una serie di possibili soluzioni per il problema delle periferie urbane. E lo hanno fatto proponendo la partecipazione collettiva ai progetti da parte di chi quelle periferie le abita.
Trovare poi soluzioni condivise anche per lo sfruttamento del territorio e sulle tematiche ambientali è quasi un tormentone. La Germania titola a lettere cubitali “Reduce, reuse, recycle”. All’interno sono esposte gigantografie con esempi di riutilizzo del patrimonio edilizio esistente. Il percorso espositivo è creato con vecchie passerelle per l’acqua alta: quando si dice l’ottimizzazione delle risorse. Gli Usa propongono “Spontaneous Interventions”, installazione interattiva che documenta 124 interventi di piccola urbanistica realizzati da architetti, designer o cittadini per migliorare le aree pubbliche delle città.
Nel caso dello Spain Lab invece, tutte le proposte degli architetti spagnoli sono nient’altro che dei “work in progress” che prenderanno consistenza e continueranno a evolvere durante e dopo la mostra, come le piccole aiuole sospese nell’aria, in cui le piantine continueranno a crescere.
Lo sforzo concettuale richiesto al visitatore, in una mostra come questa, è inevitabile. Ma lo è anche quello fisico, quando vi troverete alle prese con le più innovative e sofisticate tecnologie e dovrete cercare di catturare gli innumerevoli codici qr stampati sulle pareti interne del Padiglione Russia, armati di un tablet offertovi all’entrata. Se riuscirete nell’impresa potrete scoprire l’ambizioso progetto della i-city di Skolkovo, futura città dell’Innovazione in Russia, alla cui realizzazione stanno partecipando architetti di tutto il mondo. Al pianterreno del Padiglione, foto d’epoca sulle 60 “secret country”, sorte in Russia durante la guerra fredda. Se non potete rinunciare ai gadget, ecco per il Padiglione della Romania: potrete portarvi a casa un francobollo commemorativo di Ion Mincu, fondatore della Scuola romena di architettura, impresso direttamente da voi stessi.
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