Un nuovo slancio a Venezia può e deve venire dalla sua Università
L’appello lanciato da Paolo Baratta per un coraggioso progetto su Venezia non deve essere fatto cadere. Troppe volte Venezia si è lasciata sfuggire l’occasione di costruire un futuro che non sia solo celebrazione, se non mero sfruttamento, del suo antico e glorioso passato.
Una città che da storica capitale globale degli scambi e della cultura si era oramai ridotta a piazza commerciale senza qualità, invasa da masse di turisti mordi-e fuggi, la maggior parte dei quali, perciò, poco incline a capirne la complessità e a investire sul suo valore. Non è un caso se negli ultimi anni Venezia è stata per lo più indicata come modello negativo di over-tourism, sempre meno come luogo vitale per le sue potenzialità. Che pure, nonostante tutto, continua ad avere.
Partendo proprio dalla cultura, che è certo l’insieme dei suoi straordinari depositi museali a cielo aperto, delle mostre internazionali, gli archivi, le biblioteche, i teatri unici al mondo. Ma anche produzione originale di cultura materiale, sia essa gastronomica, artigianale o artistica: basti pensare alla lavorazione del vetro di Murano, il più antico distretto industriale al mondo, le cui imprese già nell’immediato dopoguerra potevano ingaggiare direttori artistici del calibro di Carlo Scarpa.
Ma la produzione culturale ha da più di 150 anni un fondamentale polo a Venezia, quello universitario, che si è via via articolato in aree di riconosciuta eccellenza scientifica: economia, lingue, architettura, storia dell’arte, scienze ambientali, digitale. Un sistema complesso di conoscenze e capitale umano che ha tuttavia sviluppato un rapporto ambiguo con la città storica, la quale ha sopportato più che valorizzato la presenza dei docenti e del mondo studentesco. Al punto che i più importanti progetti di sviluppo universitario degli ultimi anni hanno dovuto per forza di cose guardare alla terra ferma.
D’altro canto, anche l’università ha spesso usato la città di Venezia come una rendita di riconoscibilità e attrazione, piuttosto che come territorio sul quale investire con lo sviluppo di conoscenze specializzate e progetti coerenti. Proprio questo dovrebbe invece diventare il punto chiave per il futuro possibile di Venezia: costruire progetti coerenti con la vocazione storica e geografica della città che siano tuttavia un investimento utile e riconoscibile a livello internazionale.
Tre temi in particolare andrebbero considerati in un nuovo patto per lo sviluppo fra cultura, imprese e istituzioni politiche: cambiamenti climatici e sicurezza idraulica; logistica e portualità nel nuovo contesto geo-economico e tecnologico del commercio mondiale; le filiere del turismo sostenibile.
Paolo Baratta sottolinea come Venezia abbia oggi di fronte una grande opportunità: mai come oggi si prospettano, grazie all’Europa, rilevanti finanziamenti pubblici da investire nello sviluppo sostenibile, sicuro e inclusivo. Le due tragedie che in pochi mesi hanno azzerato il turismo a Venezia – l’acqua alta e la pandemia – aprono tuttavia anche una seconda occasione: per la prima volta da decenni il futuro della città può essere costruito senza il peso asfissiante della rendita turistica, che ha finora ucciso sul nascere ogni progetto di riscatto, relegandolo a utopia. La sfida è adesso fare di Venezia la città dove non solo sognare, ma anche realizzare un futuro possibile.
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