Un muro lungo il bypass: «Ci sentiamo imprigionati»
CAMPALTO. C’è chi lo chiama muro di Berlino, chi chiama in ballo la Palestina. Enfasi che si spiega con la rabbia per il fatto di sentirsi tagliati fuori. Siamo a Campalto, in via Casilina, che assieme a via Morosina, via Carlo Martello e altre strade che si staccano da via Orlanda e da via Gobbi, è interessata dai lavori del cosiddetto bypass di Campalto, la costosissima opera che dovrebbe sgravare il centro dal traffico di attraversamento e velocizzare la traiettoria verso l’aeroporto, una strada contestata e da molti giudicata non più necessaria perché arrivata con troppi anni di ritardo, specialmente dopo l’apertura del Passante di Mestre.
Le famiglie che risiedono in via Casilina da diversi giorni si sono viste spuntare quelle che dovrebbero essere delle barriere antirumore, per separare la strada dalle loro proprietà e dalle case. Il malcontento, però, si sta trasformando in rabbia. «Quello che abbiamo sotto gli occhi parla chiaro», spiegano le famiglie che risiedono fronte muro, «non sappiamo nemmeno come definirlo, verrebbe da dire che qui siamo in Messico dall’altra parte ci sono gli Stati Uniti. Il processo di lutto lo avevamo già elaborato, ma questo è un muro di cemento, sembra di stare in carcere».
Rino De Rossi, Marina Chiarel, la famiglia di Alberto Pavan che ha la barriera quasi in giardino e diversi altri sono arrabbiati. Una vicenda quella del bypass, che inizia nel 2012. «Il nostro suolo è stato occupato con un decreto di immissione in possesso», spiegano, «noi non abbiamo visto un euro e loro sono andati avanti per contro proprio, senza alcuna indennità di occupazione e senza atto di esproprio».
La villa di Pavan si affaccia direttamente sulla barriera. Una storia di burocrazia inestricabile. Diverse famiglie si sono affidate a periti che a loro volta si appoggiano a studi legali i quali hanno preso in carico le situazioni, ritenendo irrisoria l’indennità offerta: facendo riferimento al testo unico sugli espropri, hanno chiesto le stime di un collegio periziale a tre.
Anas è ricorsa in appello, tanto che alcune procedure devono ancora essere discusse. In questi anni i lavori sono continuati fino alla realizzazione delle barriere alte tre metri. «Anas», spiegano le famiglie, «ad oggi non ha emesso alcun decreto di esproprio: aveva tempo 5 anni e due di proroga, quest’ultima è scaduta a fine gennaio, pertanto le aree sono impegnate, a nostro avviso, illegittimamente».
Tra chi si è avvalso dei legali, c’è anche la Fondazione Carpinetum: Il Don Vecchi di Campalto, infatti, si trova nella traiettoria della strada. Infine diverse proprietà hanno problemi di crepe e fessurazioni. «Sono andato in sopralluogo», dice l’assessore alla Mobilità, Renato Boraso, «devo dire che anche il sindaco, che si è recato nei giorni scorsi a vedere, è rimasto sorpreso della qualità degli interventi e uno degli elementi presi in considerazione è proprio la barriera, che assomiglia più al muro di Berlino. Ci sono metri cubi di terra giacenti da mesi, vasche a cielo aperto, manca l’illuminazione e vorrei capire le pratiche degli espropri come sono finite. Basta incontri, ho chiesto per martedì un sopralluogo fisico sul posto con i tecnici Anas».
Nel frattempo i residenti si riservano di chiedere i danni anche per le barriere. —
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