«Un lavoro per il futuro la medaglia più bella»
STRA. In casa Istrate non si parla di Juventus e Milan. Neanche di Steaua e Dinamo. Pane, amore e karate. Ion e Ancuta sono due persone splendide, ottimi atleti e adesso anche ottimi genitori, visto che il loro piccolo Erik sta imparando i segreti e i valori dello sport ufficiale di famiglia. Ion e Ancuta gareggiano e vincono, quando salgono in pedana. Gareggiano e cercano di vincere anche nella sfida con una esistenza non sempre facile per chi lascia la Romania nella speranza di un domani migliore e trova gli ostacoli della burocrazia italiana, spesso in contrasto con le buone intenzioni e il buon senso. Ion è arrivato in Italia nel 2003. «Un amico mi doveva aspettare a Bologna, mi aveva promesso aiuto per trovare un lavoro» racconta, «sono arrivato alla stazione e non c’era nessuno. Da là ho capito che sarebbe stata dura. Avevo venduto anche la macchina, sognavo di investire il ricavato per un lavoro, anche provvisorio, che mi permettesse di mandare qualcosa ai miei familiari in Romania e magari a comprare una macchina nuova». E invece... «Invece niente. Mi hanno ospitato due moldavi, ma quando mi è scaduto il permesso di soggiorno turistico (tre mesi), sono rimasto qui, vivendo in una casa abbandonata e con la paura di essere trovato e rispedito». Poi l’occupazione nell’edilizia, la regolarizzazione, la partita Iva aperta come artigiano e l’arrivo della crisi, che lo riporta a mesi molto difficili, nei quali vengono buoni i risparmi e a dargli forza sono la famiglia e il karate. «Giusto. Ho messo la mia esperienza a disposizione, Claudio mi ha aperto le porte della sua palestra e lo ringrazierò per sempre. Il karate è nel mio sangue. Sin da ragazzo, quando dovevo allenarmi nei boschi, a volte con temperature glaciali. Perché? Il karate durante il regime di Ceausescu era uno sport vietato...».
Intanto arriva Ancuta, conosciuta in gara (a Bacau nel 2000). Graziosa, sorridente, ma anche molto decisa. Chi comanda in casa? Ancuta dice Ion, Ion dice Ancuta, poi si mettono d’accordo: tutti e due. «Io ho cominciato con la ginnastica» racconta la campionessa «in Romania tantissime bambine scelgono questo sport (e la tradizione - ndr - ci riporta alla famosissima Comaneci). Ma a 9 anni, imitando alcuni compagni che facevano karate, ho provato e gli istruttori hanno visto qualità importanti».
Stava anche per smettere. «C’è stato un momento in cui la mia famiglia ha avuto difficoltà economiche, al punto da non potermi permettere di andare in palestra. Quella volta i miei istruttori vennero a casa e mi dissero che mi avrebbero fatto allenare gratis».
Nostalgia di Iasi? «. Da quando la Romania fa parte della comunità europea non c’è più lontananza. I miei genitori vengono spesso qui, mio papà è felice di fare lunghi giri in bicicletta sulla Riviera del Brenta. Siamo romeni, ma un pochino anche italiani. Erik parla bene l’italiano. Se Ion ha nostalgia della cucina romena io gli preparo la ciorba, una zuppa che si fa dalle nostre parti. Sono una buona cuoca». Mai pensato “chissà, fra vent’anni, torneremo in Romania?”. «Ci piace restare qui, ho fiducia per il futuro di Erik. Il mio sogno? Sono felice come atleta e come mamma, vorrei realizzarmi anche nel lavoro, veder riconosciuta la mia laurea e fare la fisioterapista». Ion però ha una visione diversa: «Anch’io sto bene in Italia, ma temo che il futuro sia difficile per tutti. Oggi il lavoro è un problema. Tornare in Romania? Non lo so. Però lo penso quando purtroppo sento che qualche romeno qui si comporta male. Quanto in tivù dicono che non siamo brave persone. È una cosa che mi fa male al cuore veramente» conclude Ion «e allora mi chiedo se è vero. Se davvero le brave persone del mio Paese sono rimaste in Romania allora mi verrebbe voglia di tornare e raggiungerle. Ma io, Ancuta, e tanti amici, qui possiamo camminare a testa alta».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia