Un anno dopo Valeria riapre il Bataclan
VENEZIA. Con un concerto di Sting, oggi riapre il Bataclan, il teatro della strage dove il 13 novembre 2015 tre terroristi kamikaze uccisero 90 persone, tra loro Valeria Solesin. La studentessa veneziana della Sorbonne si trovava al teatro di Boulevard Voltaire con il fidanzato Andrea Ravagnani, la sorella Chiara, e il fidanzato Stefano Peretti, scampati ai colpi di kalashnikov. “Con la musica di Sting vogliamo dimostrare che la Francia è sempre in piedi”, ha spiegato nei giorni scorsi Jerome Langlet, il proprietario della sala concerti, annunciando inoltre che, il giorno successivo al concerto, una targa sarà scoperta all'entrata per ricordare le vittime di un teatro il cui nome, giovani residenti parigini, istruiti e cosmopoliti, tra i 25 e i 35 anni, si sono trovati appiccicati addosso: la generazione Bataclan, titolò Libération.
C’è un bimbo che di questa generazione ha conosciuto due nomi, quelli di Andrea e Valeria. Erano i suoi baby-sitter. «Ha imparato la lettera V proprio grazie a Valeria», ricorda Matteo Ghisalberti, il padre del piccolo al quale ha dovuto spiegare, dopo che aveva visto la foto di Valeria alla tivù, che alcuni uomini armati cattivi l’avevano portata via, «portata in cielo». Ancora l’altro giorno al mercato, alla vista di due militari con i mitra, il piccolo ha chiesto al papà: «Sono quelli buoni vero?». E se domani Sting trasmetterà un messaggio di fiducia e speranza, pochi giorni fa alla scuola materna del bimbo hanno fatto un gioco nuovo, che lui ha spiegato così ai genitori: «Quando la maestra ci ha dato il via, siamo tutti scappati a nasconderci e dovevamo stare in silenzio fino a quando non ce lo diceva lei».
Il silenzio dei bambini e la musica di Sting sono il modo in cui la Francia - dopo Charlie Ebdo, il Bataclan e la Promenade des Anglais a Nizza - reagisce agli uomini che hanno ucciso ragazzi e ragazze come Valeria: cercando di non farsi trovare impreparati, e tornando a vivere, ai concerti, al bar, alle manifestazioni. Ricordate la copertina post-Bataclan di Ebdo con l’uomo crivellato di fori dai quali usciva lo champagne e la scritta “Loro hanno le armi, noi lo champagne: si fottano”? O la sfida che venne lanciata ai terroristi su twitter con lo slogan #Jesuisenterrasse? Obiettivo dichiarato: continuare a vivere come prima, non modificare il nostro stile di vita, dimostrare che siamo più forti. «Ci proviamo, ma ora io quando mi sposto mando sempre un messaggio alle persone più care in modo che sappiano dove sono», riflette Ghisalberti, secondo il quale poi «prezioso a Parigi è stato il lavoro delle comunità religiose tutte, per evitare che agli occhi di molti la responsabilità dell’attentato ricadesse su tutti i musulmani”. Gli stessi motivi che, in Italia, hanno spinto i genitori di Valeria, Alberto Solesin e la moglie Luciana, a organizzare un funerale, in Piazza San Marco, alla presenza dei rappresentanti delle tre religioni monoteistiche: una cerimonia civile e non laica, vollero precisare. Così come appartenevano a persone di tutte le religioni e le origini, i fiori, i messaggi, i lumini posati a centinaia davanti al Bataclan, nelle ore successive alla strage. Così tanti che non si riusciva piú a passare, e dovette intervenire anche la polizia per spostarli, uno a uno, con la delicatezza che si riserva alle cose preziose. C’erano le bandiere italiane, per Valeria, una lettera dei colleghi dell’Istituto di demografia, la maglietta della maratona Seine-Eure alla quale aveva costretto gli amici a partecipare, lei che era appassionata anche di corsa. Quegli amici che in questi mesi sono rimasti stretti vicini ad Andrea Ravagnani: vive ancora a Parigi, sta cercando di ricostruirsi una vita. Anche se per chi è stato al Bataclan è ancora più difficile trovare il giusto equilibrio tra musica e silenzio. C’è però quel messaggio lanciato dal padre di Valeria, al rito civile di Piazza San Marco, che non è stato dimenticato: «Non arrendetevi», disse, rivolgendosi a «tutte le Valerie e Andrea che lavorano, studiano, soffrono e non si arrendono».
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