Contato e le sfide del 2025: «La sanità riconquisti la fiducia dei pazienti»

Per il direttore generale dell’Azienda sanitaria sarà l’anno dei grandi investimenti. La scommessa è sulla medicina territoriale: «Un’ occasione da non perdere. Gli utenti si fidino del sistema sanitario. Noi stiamo facendo la nostra parte»

Maria Ducoli
Edgardo Contato, direttore generale dell'Ulss 3 Serenissima
Edgardo Contato, direttore generale dell'Ulss 3 Serenissima

Un anno che si preannuncia denso di sfide per la sanità pubblica veneziana. Da dove cominciare, quale priorità mettere in cima alla lista? Il direttore generale dell’Usl 3, Edgardo Contato, non ha dubbi: «Bisogna che il sistema della sanità riconquisti la fiducia dei loro pazienti».

Fidarsi dei tempi d’attesa prescritti, affidarsi al sistema, lasciando fuori l’aggressività, le diagnosi improvvisate su Google e la fretta.

Tra i temi caldi della sanità ci sono inevitabilmente le liste d’attesa. L’abbattimento negli anni è stato importante, ora a che punto siamo?

«Abbiamo colto in pieno gli obiettivi, ma la perfezione non esiste e tantomeno la sanità a tempo zero. Spesso i cittadini che hanno una visita da fare entro 30 giorni la vorrebbero subito ed è qua che subentra il discorso dell’appropriatezza delle prescrizioni: i medici di base e gli specialisti devono definire i tempi sulla base dei bisogni della persona. La sfida vera sta nel recuperare la fiducia dei pazienti nei confronti dei medici».

Come fare?

«Chi fa le prescrizioni dev’essere un “regolatore” e deve dettare le modalità giuste per i servizi. I medici sanno ciò che è meglio per i loro pazienti, devono affidarsi e ascoltarli».

Che anno sarà per l’Azienda sanitaria della Serenissima?

«Un anno in cui molti progetti si concretizzeranno, alcuni dopo una lunga pianificazione. Dalle case e ospedali di comunità all’hospice, ma anche i corsi universitari e il via alla costruzione dell’Angelino: nessuna di queste cose è arrivata di punto in bianco, c’è dietro un grande lavoro».

A Mestre la scommessa è sull’Angelino, progetto da 90 milioni per l’Area materno infantile e non solo.

«Sì, è la conclusione di un percorso che vede il project financing ancora in ballo, per arrivare al punto in cui siamo ora abbiamo chiuso una serie di vicende con la Corte dei Conti».

Qual è la scommessa al Civile di Venezia?

«Sarà il luogo che ospiterà la casa di comunità, costata 150mila euro, e la facoltà universitaria, invece di “difendere il terreno” lo abbiamo allargato, perché il Civile ha un ruolo fondamentale per la città e ne è il motore».

Venezia, come sta?

«È una città che vive e che non è in agonia e tanto meno disagiata, ma un luogo prezioso in cui le persone vanno a lavorare, tant’è che abbiamo risolto i problemi legati ai medici di base e ai pediatri».

Quest’anno sarà decisivo per i lavori alle case di comunità, da realizzare entro fine 2026. A che punto sono i lavori?

«Sono tutte in fase di realizzazione. Quelle che non prevedevano finanziamenti del Pnrr sono praticamente già operative, come a Noale e al Lido, e Mira sarà pronta entro la fine di quest’anno».

Queste strutture sono al centro della riforma della sanità territoriale, figlia del Pnrr e della pandemia. Un modello vincente?
«Assolutamente, è una grande opportunità e dovrebbe stimolare una riflessione generale sui servizi territoriali, che devono trovare un giusto assestamento rispetto ai tempi che stiamo vivendo e alle tecnologie che entrano nelle nostre strutture».

È quindi questa la più grande scommessa, sul lungo termine?

«Sì, se perdiamo quest’occasione rischiamo di vanificare la pandemia e tutto ciò che ci ha lasciato».

Cosa ci ha lasciato, oltre alle liste d’attesa?

«Un grande bisogno di aiuto. Ancora oggi paghiamo le conseguenze del lockdown e lo vediamo nel fatto che il reparto che lavora di più è la neuropsichiatria infantile».

Cos’ha imparato la sanità pubblica dal Covid?

«La flessibilità e l’importanza della sinergia con le altre istituzioni e il mondo del volontariato. L’eredità che ci lascia è la consapevolezza che il lavoro non si fa da soli, ma in gruppo».

A Mestre aprirà il nuovo centro privato di medicina, a due passi dall’Angelo, i sindacati temono un esodo di dipendenti dall’ospedale, lei è preoccupato?

«No, io sostengo il pubblico e cerco di coccolare i miei dipendenti per far sì che da noi trovino le migliori condizioni possibili e i presupposti per essere orgogliosi di lavorare nel pubblico. La nostra missione sta nel garantire le cure a tutti, non so se sia anche quella del privato».

Ci sono tante voci preoccupate sulla sanità pubblica, il sistema sta davvero scricchiolando?

«La sanità gode di ottima salute, bisogna andare fuori dall’Italia per vedere come vanno le cose e rendersi conto che il nostro Sistema Sanitario Nazionale è prezioso. Oltre alle critiche dovrebbero esserci anche delle proposte».

Sistema che ha 47 anni, nato con la riforma del 1978. È ancora attuale?

«In questi quasi cinquant’anni dei settori si sono modificati, altri sono rimasti uguali e bisognerebbere riflettere proprio su questi».

Un esempio?

«La sanità territoriale».

I principi di allora sono ancora validi?

«Sono assolutamente imprescindibili. Gratuità, equità e accesso alle cure sono da difendere».

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