«Ucciso da un’italiana? Allora tutti comprensivi»
PIOMBINO DESE. «Leggere tanti stupidi commenti sui social e sentire persino persone che mi vengono a trovare che diventano all’improvviso difensori della ragazza che ha ammazzato mio figlio, che esprimono comprensione “per quello che sta passando l’investitrice” mi fa stare male» dichiara Sarwat Abou El Seoud, «Io non posso compatire chi non ha avuto compassione per mio figlio, lasciato a morire come un cane in un fosso perché qualcuno non ha avuto l’umanità di fermarsi. Mi dicono che anche lei soffre, ma soffrirà per un mese, un anno, due anni. Io questo dolore me lo porterò per tutta la vita. Io ho rischiato un paio di volte la vita, una volta pure quella di mia moglie che era in auto con me, per la manovra che ho fatto per non investire un cane o un gatto. Mio figlio è stato trattato peggio».
L’uomo ha seguito l’aggiornamento sul web della notizia dell’incidente che ha avuto suo figlio come vittima e letto i commenti, alla ricerca di informazioni sul fatto, magari di un testimone. Si è così reso conto della “virata” nei commenti avvenuta quando il sito del mattino ha reso noto che la responsabile dell’incidente e dell’omissione di soccorso era una ragazza italiana di 19 anni. «Prima tutti giustizialisti, a invocare la morte, il carcere a vita, ogni disgrazia sul resposabile» commenta El Saoud «Poi più di qualcuno ha iniziato a manifestare comprensione umana per la ragazza. Qualcuno addirittura a scrivere che era tutta colpa di mio figlio sostenendo che girava senza luci e giubbino fluorescente: ma vi rendete conto?».
«Allora» aggiunge «mi chiedo cosa sarebbe successo se fosse stato mio figlio l’assassino e quella ragazza la vittima. Lo so bene cosa sarebbe successo: altro che umana comprensione, sarebbe stato un coro di “disgraziato marocchino, il musulmano, il terrorista che uccide una ragazza italiana...”. Allora tutti devono sapere che mio figlio porta solo un nome che non è italiano, ma italiano lo è, lo era..., a tutti gli effetti. È nato a Camposampiero, ha studiato e vissuto qui e frequentava questa realtà. Noi siamo una famiglia che rispetta le leggi, che lavora ed è integrata. Ho fatto di tutto per far studiare i miei figli, uno di loro fa l’università! Ihab era un ragazzo educato, bravissimo» quasi urla il papà «Non era molto portato per lo studio. Così dopo aver frequentato con scarso successo il Maffioli a Castelfranco l’ho comunque fatto continuare in una scuola riconosciuta, l’Enaip alberghiero di Noale». Quando il pirata ha avuto un’identità qualcuno ha cominciato a rimarcare di pettorine non indossate e di biciclette senza luci. «Cosa ne sa la gente di cosa indossava mio figlio? La bicicletta in quei giorni era l’unico mezzo che aveva per raggiungere il ristorante. Quante parole senza senso... Io so che mio figlio è morto e mi ha lasciato solo. Questo solo so». (g. a.)
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