Uccise la vicina, 25 anni a Monica Busetto

La Corte, su input della Cassazione, ricalcola la pena escludendo i futili motivi, ma non riconoscendo le attenuanti generiche

MESTRE. Il mancato riconoscimento dell’aggravante dei futili motivi “salva” Monica Busetto dall’ergastolo, a cui era stata condannata nel 2016. Venticinque anni di reclusione, senza la concessione delle attenuanti generiche come chiesto dalla difesa, la nuova pena decisa ieri, dopo meno di un’ora di camera di consiglio, dalla Corte d’Assise d’Appello per l’operatrice sociosanitaria accusata di aver soffocato con il filo del decoder e poi accoltellato la vicina Lida Taffi Pamio, 87 anni.

Un delitto consumato in concorso con Susanna “Milly” Lazzarini. «Un accanimento», si è sfogata fuori dall’aula Mariella Schiavon, compagna del papà di Monica e molto affezionata a lei. «Per me è un capitolo chiuso, ora ci pensa la giustizia», le parole di Franco Magagnini, nipote di Lida.

Foto Agenzia Candussi/ Furlan/ Mestre, Tribunale/ Processo a Monica Busetto
Foto Agenzia Candussi/ Furlan/ Mestre, Tribunale/ Processo a Monica Busetto


A quasi sei anni dall’omicidio, avvenuto il 20 dicembre 2012 in un appartamento di via Vespucci, è arrivata la nuova condanna. Si tratta della seconda volta in cui la Corte d’Assise d’Appello (in diversa composizione) si trova ad affrontare il procedimento.

Dopo l’ergastolo di due anni fa, la difesa, con gli avvocati Alessandro Doglioni e Stefano Busetto, aveva presentato ricorso in Cassazione. I giudici romani avevano annullato la pena massima, rimandando il giudizio in Corte solo per l’aggravante dei futili motivi.

La discussione ieri davanti alla Corte presieduta da Alessandro Apostoli Cappello è stata piuttosto veloce perché limitata a questo aspetto. Il sostituto procuratore generale Giovanni Francesco Cicero si è battuto per la conferma dell’ergastolo sostenendo tra l’altro che Susanna Lazzarini, che con le sue dichiarazioni si era prima accusata del delitto Taffi Pamio e poi aveva accusato Busetto del colpo mortale, non sia credibile ma comunque sia attendibile su vari aspetti.

La difesa ha sostenuto come il movente del delitto non sia mai stato accertato e su questo aspetto nemmeno Lazzarini, come evidenziato anche dalla Cassazione, sia stata in grado di fornire elementi utili. «Per la configurabilità dell’aggravante dei motivi futili», hanno sostenuto Doglioni e Busetto, «serve che il movente sia identificato con certezza, non potendo l’ambiguità probatoria ritorcersi sull’imputato».

La difesa aveva chiesto il riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti rispetto all’aggravante della minorata difesa. Le generiche erano state concesse in primo grado e poi tolte in Appello poiché Busetto si era rifiutata di parlare all’interrogatorio di garanzia (rendendo l’esame durante il dibattimento) e di fornire il profilo genetico per la questione della catenina trovata nella sua casa. Circostanza, questa, smentita dalla difesa.

Sostenendo che il processo non abbia dimostrato né la responsabilità dell’imputata, né il movente, gli avvocati si sono appellati alla Corte affinché facesse «un atto di coraggio» con la nuova sentenza.

«Monica non ha mai fatto male a una mosca, vorrei venisse a casa perché è là il suo posto», ha detto la compagna del papà che ha atteso con la zia l’esito dell’udienza a porte chiuse. Monica, invece, è rimasta in carcere a Verona. Nel primo pomeriggio ha ricevuto la visita dei suoi avvocati. Si è lasciata andare, ha pianto. Lei, che si è sempre dichiarata innocente, sperava che il suo incubo potesse finire. Ma i difensori non mollano: «Avanti in Cassazione per ottenere le generiche ed abbassare così la pena». —


 

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