Uccise il figlio con una coltellata al cuore, dovrà tornare in carcere
CAMPAGNA LUPIA. La prima sezione della Corte di Cassazione ha confermato la condanna a quindici anni di reclusione per il 72enne Guerrino Minto, per aver ucciso il figlio 21enne Alessandro. A questa pena lo aveva condannato già il primo magistrato che lo aveva giudicato, la giudice veneziana Roberta Marchiori, concedendogli lo sconto di un terzo grazie al fatto che il suo difensore, l’avvocato Giorgio Pietramala, aveva scelto il rito abbreviato, evitando così il processo in aula davanti alla Corte d’assise.
Dopo poco meno di un anno di carcere, Minto aveva ottenuto anche gli arresti domiciliari, dove si trovava ora, ma con la conferma definitiva della condanna, ora dovrà tornare in una cella, come da anni chiedeva la madre del ragazzo. L’avvocato Pietramala, da parte sua, punterà sulle sue condizioni di salute e sulla sua età avanzata. Davanti ai giudici di Roma, oltre al difensore dell’imputato e il rappresentante della Procura generale, c’era anche l’avvocato Elisabetta Seguso, parte civile per la madre del ragazzo morto, che si è battuta fin dall’inizio del procedimento, sostenendo che l’ex marito non doveva rimanere fuori dal carcere, doveva essere arrestato.
Il terribile episodio accadde in via Primo Maggio a Campagna Lupia, una strada che collega il paese con la frazione di Lova. Qui dopo una accesa discussione, il 26 luglio 2013, Guerrino Minto colpì il figlio con un coltello da cucina: un solo colpo, ma micidiale visto che aveva centrato il cuore. Per giustificarsi l’imputato aveva raccontato che era stato il figlio ad aggredirlo e che lui si era difeso. Aveva riferito che aveva perso la testa perché aveva chiesto al figlio di restituirgli 200 euro che gli aveva prestato ma era stato respinto malamente da Alessandro. I giudici, sia quello di primo grado, sia quelli dell’Appello e della Cassazione, però, non gli hanno creduto. Anche perché l’ex moglie ha sempre sostenuto che il violento in famiglia era proprio lui e lei si era allontanata dopo averlo denunciato, già nel 1997, per maltrattamenti. «Quell'uomo è sempre stato così: non parole, ma pugni», aveva sostenuto lei, «Alessandro non gli doveva niente: era il padre che doveva pagargli gli alimenti e non l’ha mai fatto. Era stato lui - quando Alessandro ha compiuto 18 anni - ad accompagnarlo in banca e incassare i 6 mila euro che avevo messo da parte per mio figlio: Alessandro glieli ha prestati per un trattore e non li ha mai avuti indietro. Mai, mai avrebbe alzato le mani su suo padre».
L’anziano di Campagna Lupia, dopo aver trascorso 11 mesi in carcere, nel 2014 era stato assegnato ad una comunità del Padovano, dove aveva potuto dedicarsi alla coltivazione della terra. Dopo alcuni mesi aveva potuto tornare nella sua abitazione. E gli era stata concesso anche di uscire per due ore al giorno, per procurarsi da mangiare: ora tornerà in carcere.
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