TSUNAMI TANGENTI SU VENEZIA Smantellato il sistema di corruzione messo in piedi da Mazzacurati
VENEZIA. In carcere, se la Camera darà il via libera, l’ex presidente della giunta regionale ed ex ministro Giancarlo Galan, assieme all’attuale assessore regionale Renato Chisso, entrambi di Forza Italia, agli arresti domiciliari il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, in cella invece il consigliere regionale Pd Giampietro Marchese.
Il presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati aveva in mano l’intera città e per non perdere il controllo avrebbe sborsato oltre 22,5 milioni di euro in tangenti. Pagava il presidente della giunta regionale Galan e l’assessore Chisso perché intervenissero sulla Commissione di Salvaguardia e la Commissione Via in modo che le autorizzazioni per i lavori del Mose non incontrassero intoppi; pagava i vertici del Magistrato alle acque affinché omettessero i controlli che avrebbero dovuto scattare sui lavori delle imprese alle bocche di porto; pagava i tecnici regionali perché durante i collaudi non intralciassero le operazioni; quando ha scoperto che erano partite le indagini della Procura, pagava addirittura il vicecomandante della Guardia di finanza per avere informazioni e perché gli desse una mano, bloccando le “fiamme gialle” venete; infine, finanziava le campagne elettorali di politici e amministratori locali di centrodestra e centrosinistra per ottenerne la loro benevolenza, affinché non gli facessero la guerra come era accaduto per qualche predecessore a Ca’ Farsetti.
Dopo l’arresto dello scorso anno, Mazzacurati ha vuotato il sacco e con lui il manager della Mantovani, Piergiorgio Baita, che con lui ha collaborato strettamente. Ma i pubblici ministeri Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini e gli investigatori del Nucleo di polizia tributaria lagunare indagavano su questi intrecci del malaffare dal 2009: hanno raccolto prove documentali e hanno avviato intercettazioni ambientali e telefoniche; solo dopo sono arrivate le confessioni dei due imprenditori, che hanno confermato la bontà degli accertamenti. Insomma, al contrario di quello che accade spesso nelle inchieste giudiziarie.
I
n carcere sono finiti in 24, altri 9 sono agli arresti domiciliari, un centinaio gli indagati, tra cui il braccio destro dell’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, Marco Milanese, e due sono in attesa di autorizzazione. Le imprese del Consorzio costituivano fondi neri con la sovrafatturazione dei lavori, poi i soldi li mandavano all’estero, in Austria, in Svizzera e a San Marino, con quelli pagavano. Gli ex presidenti del Magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva incassavano, il primo, stando alle accuse, uno stipendio aggiuntivo annuale, grazie alle bustarelle, di 400 mila euro e in un’occasione 500 mila euro accreditati in un conto in una banca svizzera. Non solo: aveva fatto ottenere un contratto di collaborazione a progetto alla figlia Flavia dal Consorzio prima e l’aveva fatta assumere poi dalla società “Thetis”. Anche il fratello architetto Paolo aveva ottenuto un contratto per 38 mila euro. Stipendio bis da 400 mila euro anche alla Piva, inoltre si sarebbe messa in tasca 328 mila euro come collaudatore all’Ospedale di Mestre. In cambio, non mandavano i controlli al Consorzio e non avanzavano rilievi.
Baita, addirittura, ha spiegato ai pubblici ministeri che le nomine di Cuccioletta e della Piva «le aveva fatte Mazzacurati» e Pio Savioli, dirigente del Consorzio, ha confermato che «il Magistrato alle acque era in subordine al Consorzio». L’ex vicedirettore Roberto Pravatà ha aggiunto che «in realtà l’80 per cento degli atti formalmente redatti dal Magistrato alle acque venivano materialmente prodotti da personale del Consorzio». Ancora Baita ha chiarito che c’era «il così detto fabbisogno sistemico, cioè il pagamento periodico, a tempo, di tutta una serie di persone, cresciute sempre più negli anni. Il pagamento episodico ma regolare, la firma della convenzione, la registrazione alla Corte dei Conti, la necessità di fare arrivare i soldi alla Corte dei Conti. Il pagamento di particolari episodi e le così dette emergenze».
Stando ai pubblici ministeri Galan e Chisso venivano pagati per influire sulle decisioni inerenti il rilascio dei nulla osta da parte delle Commissioni regionali. Così all’ex presidente della giunta regionale veniva passato uno stipendio annuale di circa un milione di euro, Chisso invece intascava 200, 250 mila euro all’anno. Ora il secondo è in carcere, mentre la Procura ha chiesto alla giunta della Camera di dare il via libera anche per l’arresto del primo. A confermarlo Baita e Claudia Minutillo, ex segretaria particolare di Galan.
Mazzacurati avrebbe pagato anche un giudice della Corte dei Conti, un tempo alla Sezione di controllo di Venezia poi passato alla Sezione centrale di Roma, Vittorio Guseppone: al fine di ammorbidire i controlli contabili e per accelerare le registrazioni delle convenzioni il magistrato si sarebbe intascato 300 mila, 400 mila euro all’anno. In manette anche i funzionari regionali Giuseppe Fasiol e Giovanni Artico, che si sarebbero messi a disposizione di Baita per accelerare le procedure.
«Poi abbiamo avuto Orsoni, gli abbiamo finanziato la campagna elettorale», ha sostenuto Mazzacurati in uno dei suoi interrogatori, dopo aver consegnato un memoriale in cui specifica che sarebbero stati circa 400 mila i contributi per la campagna elettorale per le amministrative del 2010 passati all’attuale sindaco lagunare. Ci sarebbero stati circa centomila euro “regolari”, cioè registrati, e il resto “in nero”, per questo è stato contestato a Orsoni il finanziamento illecito. Lo stesso è accaduto per Gianpietro Marchese, per anni dirigente del Pd e prima del Pci e ora consigliere regionale. A lui, secondo la Procura lagunare, non soltanto elargizione per le campagne elettorali ma «un vero stipendio fornito con regolarità e del tutto illecito perché in nero e senza alcuna delibera, 180 mila euro», scrive il giudice Alberto Scaramuzza che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare. A Marchese sarebbero andati circa 400 mila euro e sarebbe anche stato assunto in modo fittizio da una società per 35 mila euro. Ad Amalia “Lia” Sartori, ex europarlamentare di Forza Italia non rieletta, il Consorzio avrebbe finanziato la campagna elettorale con 200 mila euro. La Procura ha chiesto il via libera al Parlamento europeo.
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