«Trovare un accordo con Airbnb e sviluppare una cultura esclusiva»

Claudio Minca, geografo esperto di turismo ed ex docente di Ca’ Foscari, lancia una serie di proposte «Le università devono attirare studenti dall’estero e ci vuole una coalizione che dia un indirizzo preciso»
Di Vera Mantengoli

VENEZIA. Trovare un accordo con Airbnb. Stimolare le università ad attirare un pubblico internazionale. Regolare i gruppi turistici e puntare sullo sviluppo di una cultura esclusiva. Sono queste le priorità che Venezia dovrebbe applicare secondo il geografo esperto di turismo Claudio Minca, docente per dieci anni a Ca’ Foscari e oggi a capo del Dipartimento di Geografia culturale alla Wageningen University in Olanda.

Com’è vista Venezia all’estero?

«Gli studenti dai 20 ai 30 anni pensano che Venezia sia la città delle masse, una specie di parco turistico fatto per i grandi flussi. Quasi tutti ci sono stati una volta, ma non la considerano un posto alla moda o di tendenza. Fuori Europa si dice ancora che almeno una volta nella vita bisogna andarci».

Come si potrebbero attirare più giovani?

«Non critico le università Ca’ Foscari e Iuav, ma di sicuro potrebbero fare molto di più, come ampliare l’offerta formativa in inglese. Da quando noi a Wageningen, un posto per nulla attrattivo, abbiamo fatto i master tutti in inglese, gli studenti sono aumentati del 40%. Questo è solo un esempio, ma mi sembra che Venezia non sfrutti appieno il capitale di immagine che ha. Una città immutata da secoli come questa può essere al passo con i tempi se osa mettere in campo una cultura innovativa che non c’è in altri luoghi, se dà delle possibilità che non ci sono in altre città. Non si devono demonizzare i turisti, ma creare un’offerta culturale che non sia rivolta a masse indifferenziate».

Che idea di cultura manca? «La grande scommessa è immaginare cosa significa pensare al futuro culturale di Venezia. Quello che mi sembra sia mancato è un’idea per la cultura cittadina, delle pratiche quotidiane rivolte e pensate per i residenti. Una cultura urbana, insomma. Se non ci fossero state le due università, la città sarebbe diventata un museo. Ho letto le osservazioni dell’Unesco, ma penso che oltre alla conservazione del patrimonio sia necessario pensare anche a un’idea di cultura dinamica, capace di mantenere viva la città e di renderla diversa dalle altre sul piano culturale, altrimenti si rischia di perdere i residenti e quindi anche in turisti perché molti turisti cercano la “vera Venezia”».

Che cosa si può fare per conciliare i 22 milioni di turisti con i 55 mila residenti?

«Prima di tutto trovare subito un accordo con Airbnb. Città come Amsterdam, Londra o Barcellona hanno problemi simili a Venezia, ma sono concentrati nel centro storico, Venezia invece ha uno spazio definito che è quello. La mia impressione è che la crescita di Airbnb stia accelerando un processo nato da decenni dove le funzioni della vita urbana si indeboliscono, a favore di un processo di intensificazione turistica non più selettivo. Ad Amsterdam hanno posto il divieto di affittare su Airbnb fino a 60 giorni. Un’idea potrebbe essere quella di consentire Airbnb solo a chi ha la residenza a Venezia, ma un accordo bisogna farlo. Lo stesso vale per i gruppi organizzati il cui arrivo si può regolamentare e decentrare in alcuni periodi. Infine aprirei un dialogo con i cittadini per dare loro voce e creare una risposta che unisca amministrazione e residenti».

Come si può fare in tempi brevi?

«Ci vuole una coalizione capace di pensare a un’idea di Venezia e in grado di rispondere alla domanda su che cosa si voglia fare del turismo e del futuro. La mia impressione è che sia una città vissuta in modo un po’ stressante e sia molto illeggibile a livello di indicazioni e anche di come viverla. Non si capisce se Venezia è l’esperienza di una città o l’esperienza dei turisti in una città perché anche loro si trovano circondati da funzioni turistiche e alla fine viene da chiedersi se quello che fanno qui lo si faccia anche in un parco turistico. Mi ha sempre stupito l’incapacità di portare avanti un discorso su quale turismo si vuole e come fare affinché sia positivo».

Lei ha vissuto a Venezia. Ci tornerebbe?

«No. Mi ricordo ancora quando ci vivevo e ho perso un aereo per New York perché ero rimasto imbottigliato dai turisti per l’ennesima volta. Era diventata invivibile».

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